11 dicembre 2006

Espanto como el que vivo

Dopo la notizia della morte di Pinochet il mio amico Alessandro Gwis mi manda una mail su Victor Jara, regista teatrale e cantante, torturato e ucciso dal regime del dittatore cileno: “Siamo saliti al secondo piano, dove erano gli uffici amministrativi e, in un lungo corridoio, ho trovato il corpo di Vìctor in una fila di una settantina di cadaveri. La maggior parte erano giovani e tutti mostravano segni di violenze e di ferite da proiettile. Quello di Victor era il più contorto. Aveva i pantaloni attorcigliati alle caviglie, la camicia rimboccata, le mutande ridotte a strisce dalle coltellate, il petto nudo pieno di piccoli fori, con un’enorme ferita, una cavità, sul lato destro dell’addome, sul fianco. Le mani pendevano con una strana angolatura e distorte; la testa era piena di sangue e di ematomi. Aveva un’espressione di enorme forza, di sfida, gli occhi aperti” (testimonianza della moglie Joan).
Poco prima di essere ucciso, nello stadio di Santiago del Cile, Jara scrisse questo testo:
Canto que mal me sales
cuando tengo que cantar espanto!
Espanto como el que vivo
como el que muero, espanto,
de verme entre tanto y tantos
momentos del infinito
en que el silencio y el grito
son las metas de este canto.
Lo que veo nunca vi.
Lo que he sentido y lo que siento
hará brotar el momento.
Quello che è accaduto in america latina in quegli anni non dovrebbe mai essere dimenticato: ringrazio il mio amico per avermi rinfrescato la memoria.

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