
L’omosessualità, quindi, non sarebbe che una moda: essere o non essere gay equivarrebbe ad aggiungere o togliere un bottone dalla giacca, aumentare o diminuire la lunghezza della gonna, scegliere un paio di scarpe dalla punta più o meno arrotondata.
L’argomento non è nuovo: lo stesso (ineffabile) Luca Volonté, in un suo recente “redazionale” sul tema dei Pacs, affermava che «intervenire per una legge-privilegio a favore di poche migliaia di persone, solo per il semplice fatto che essi dichiarino di sentirsi omosessuali, è un aborto giuridico».
Ce ne voleva, obiettivamente, per partorire un’argomentazione addirittura più offensiva di quella in base alla quale l’omosessualità consisterebbe in una malattia: eppure, incredibile ma vero, i nostri beniamini vaticani e i loro infaticabili servi sono riusciti nell’impresa; a prezzo, bisogna ammetterlo, di chissà quali inenarrabili sforzi di immaginazione.
Chissà se ai dispensatori di simili idiozie accada, sia pure occasionalmente, di sentirsi un po’ coglioni: ancorché di questi tempi la moda di provare un barlume di vergogna risulti assai poco diffusa.
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