La regola, per essere onesti, non è priva di fondamento: ti sembra giusto dare una capocciata a un tizio, magari spaccandogli il sopracciglio con conseguente (e abbondante) sanguinamento in campo, solo perché costui ti ha dato un pizzicotto sulla guancia, ti ha mollato un calcetto sul polpaccio, ti ha sussurrato nell’orecchio che la tua fidanzata è una troia?
No, che non è giusto. E allora, dico sul serio, ben venga l’espulsione per chi non è in grado di controllare le proprie reazioni e mena giù botte alla cieca, lasciando l’avversario a rotolarsi per terra; e ben venga la squalifica, dopo l’espulsione, perché l’animalesco individuo, oltretutto, ha la colpa di lasciare la propria squadra in dieci, esponendola così a una possibile sconfitta, magari laddove si stava profilando una speranza, se non di una vittoria, almeno di un combattuto pareggio.
E’ tutto, qua, se si eccettua una breve postilla.
Che il provocatore sia, senza ombra di dubbio, un vigliacco bello e buono, questo si può dire?
«E’ un gesto intimidatorio, ovviamente, che si commenta da sé. D’altra parte, non si vuole enfatizzare oltre misura questo gesto irresponsabile, perché non è intenzione della Chiesa alimentare uno scontro che non è mai stato cercato e che è fuori pertanto dalle sue intenzioni e dalle sue azioni». (Angelo Bagnasco, da Zenit)
Bella, la metafora calcistica applicata alla tua ossessione preferita.
RispondiEliminaNon è detto che sia la mia preferita...
RispondiEliminaNo? Mi era parso.;-)
RispondiEliminaE' la più evidente.
RispondiElimina