Chiariamo subito una cosa: non è, onestamente, che io sia un gran pugile.
Non sono per niente bravo a schivare i cazzotti, incasso abbastanza bene da prenderne sempre due o tre più del dovuto, e come se non bastasse ho l'imperdonabile vizio di rialzarmi, quando invece mi converrebbe restare giù e aspettare buono buono che l'arbitro arrivi a contare fino a dieci.
Non desterà meraviglia, dati questi presupposti, il fatto che finisca spesso e volentieri per prenderle.
Normalmente, però, la cosa non mi preoccupa: sono uno di quegli scemi per i quali le cose che contano davvero sono aver combattuto come potevo, stringere la mano all'avversario alla fine dell'incontro e avere abbastanza forza nelle ginocchia per tornarmene a casa a farmi una birra fredda.
Succede, però, che il tizio che mi capita di fronte interpreti la cosa come una debolezza, e che si metta in testa di darmi una lezione, incastrandomi nell'angolo e divertendosi a giocare al gatto col topo.
A me la cosa, comprensibilmente, non diverte nemmeno un po'.
Così, mentre quello mi si fa incontro per completare l'opera sorridendo ai flash dei fotografi, tiro il gomito appena indietro, fletto il pettorale sinistro come una fionda, poi lo scarico e mollo un gancio, che generalmente mi esce dalla mano pesante come uno straccio bagnato; parte quasi da solo, quel gancio, esce facile facile dalla spalla, mi ruota il torace prendendosi tutta la forza che ho ancora in corpo, arriva pulito con il rumore di un guscio di noce che si rompe, lasciandomi una sensazione di dolore nel polso e un formicolio sulle nocche.
E' un gran bel gancio, quello, non c'è dubbio: quando arriva, dicono (e dicono bene), fa male davvero: spezza il fiato, annebbia la vista, piega le ginocchia.
In un repertorio da mezzasega, è l'unico colpo da fuoriclasse.
E non mi piace per niente (ma proprio per niente) lasciarmelo scappare.
Però, a volte, devo.
Occhio, ché arriva.
La qualità è più importante della quantità. Stendilo Metil
RispondiEliminayes you can
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