Elio viveva in un caseggiato malmesso affacciato su un cortile polveroso. E i suoi vicini di casa erano famiglie di calabresi, siciliani, campani che si ammassavano nei bilocali senza bagno, una porta e una sola finestra in cambio di un lavoro come manovali, addetti alle pulizie, i più fortunati come operai nell'industria. Era il 1970 e Milano e la sua provincia avevano tre categorie di abitanti. C'erano i lombardi, baluardo dell'operosità e dell'onestà. C'erano i terroni del Nord, veneti e friulani, bravi, eh, onesti pure loro, ma non mancavano le suore e i parroci che mettevano in guardia i teenager del posto, mai fidanzarsi con venete e friulane che, si sa, sono ragazze di facili costumi. Poi c'erano i terroni terroni: quegli incoscienti che fanno figli come conigli, non sanno nemmeno parlare l'italiano, non si lavano, anzi puzzano, Dio santo come si fa a vivere così, tengono le galline in cucina, piangono miseria, affitti la casa a uno di loro e te la ritrovi piena di gente, in Comune hanno sempre la precedenza nelle liste per le case popolari, per i libri a scuola, non hanno voglia di lavorare e lo Stato li premia, sono mafiosi, rubano, violentano le donne, guarda le loro mogli, si vestono di nero e le vecchie sono obbligate a portare il velo, ma come si fa, sono così diversi da noi, mica possiamo accoglierli tutti questi terroni, non siamo razzisti per carità, ma perché non li aiutano a casa loro? Quei discorsi, respirati dai bambini, avevano condannato Elio all'esclusione. Perfino lui che era lombardo.
Ma oggi, quarant'anni dopo, quell'insulto, terrone, è praticamente scomparso. Chi fa più caso all'origine geografica di un cognome o di un nome? È bastata una generazione per cancellare gli effetti di questa segregazione. E grazie a quell'immigrazione interna dal 1970 l'Italia, la sua industria, la sua economia, la sua cultura, hanno potuto crescere. Adesso la sfida è la stessa: costruire una nuova unità, una nuova ricchezza del Paese. La sfida è mettere la generazione dei nostri figli nelle condizioni di considerare normale la differenza di pelle, di nome, di religione, al punto da non considerarla più una differenza. Ci vorrà tempo. Forse, come per il piccolo Elio e per tutti noi ex terroni, ci vorrà un'intera generazione. Ma le fondamenta perché questo avvenga dipendono da quello che noi facciamo oggi.
La segregazione tra italiani e stranieri è ancora feroce, ma il sistema xenofobo che l'ha voluta si avvia alla decomposizione. Non ha futuro. Il sistema di potere che l'ha prodotto è già morto, sta marcendo nel cancro delle tangenti, nelle complicità con la mafia, nella parodia dell'onestà e della buona amministrazione che dal 1994 in poi ha diviso l'Italia e l'ha ridotta al cadavere che è. Il capolinea di tutto questo è il 2013, forse anche prima. Poi ci sarà il vuoto. E tutti noi, cittadini onesti, che non ci riconosciamo nel marciume della corruzione, abbiamo l'obbligo di riempirlo. Anche semplicemente con la nostra presenza, con le nostre piccole azioni quotidiane. Ecco perché le manifestazioni di lunedì primo marzo sono un'occasione importante per esserci, per pretendere un Paese diverso, per rendere possibile una nuova unità nazionale dove la libertà di esistere non dipende dal passaporto del luogo dove ciascuno di noi è nato ma dallo Stato, dalla città, dal quartiere dove ora vive. Esserci è un dovere di solidarietà nei confronti di Ion Cazacu, ingenere e muratore, padre di due bimbe, bruciato vivo dal suo datore di lavoro. È un dovere nei confronti dei braccianti presi a fucilate a Rosarno. Ma è anche l'unico, ultimo mezzo che ci resta per far sapere che in questa Italia in cui la criminalità organizzata siede in Parlamento tutti noi, cittadini onesti, oggi siamo stranieri.
Questo è l'appello di Fabrizio Gatti, che sarà con noi alle manifestazioni di Milano, al mattino, e di Roma, al pomeriggio.
Siete tutti invitati a partecipare: solo insieme stranieri e Italiani, solo in tanti, riusciremo a cambiare le cose. Portate con voi qualcosa di giallo!
Qui potete trovare l'elenco delle manifestazioni che si svolgeranno in tutta Italia.
Qui sotto infine, se me lo consentite, un taglia e cuci della conferenza stampa di Milano, in cui provo a raccontare alcune delle ragioni dell'iniziativa.
«Ma oggi, quarant'anni dopo, quell'insulto, terrone, è praticamente scomparso. Chi fa più caso all'origine geografica di un cognome o di un nome?»
RispondiEliminaUhm... non la starai dipingendo un po' tanto rosea?
Bene, grande iniziativa. Domani sarò a Piazza Vittorio a Roma. C'è in atto un incontro di persone di origini e culture diverse, la vera globalizzazione che segnerà questo secolo e vanno cercati i modi per stare insieme con naturalezza.L'esclusione è contro la natura e la storia dei prossimi decenni che si sta già scrivendo. Brava Allegra.
RispondiEliminauna volta "non si affitta a meridionali" era un must, adesso? un posto letto schifosissimo minimo 200 euro.C'è una differenza..aiutatemi a capire perchè da un rifiuto totale si è passato allo sfruttamento più bastardo di coloro che si rifiutano senza appello.
RispondiEliminae incrocio le dita affinche' il macchinista del treno di domani non sia straniero: perderei la mia prima lezione del secondo semestre
RispondiEliminagiacinto2000
Grazie di cuore per la battaglia che state conducendo. Mi permetto di segnalare che come team di Global Voices siamo riusciti a diffondere la notizia a livello internazionale, attraverso questo post pubblicato oggi:
RispondiEliminahttp://globalvoicesonline.org/2010/02/28/italy-%E2%80%9Ctangerines-and-olives-dont-fall-from-the-sky%E2%80%9D/
In bocca al lupo per domani.
Davide Galati