Capitan Uncino per Metilparaben.
Era il 1994, ascoltavo gli 883, avevo appena smesso di leggere "Cioè" e la mia smemoranda era alta mezzo metro sin da metà settembre.
Ho frequentato un istituto superiore di cui mi lamentavo tantissimo, vantavano di avere i laboratori linguistici ma non funzionavano le cuffie oppure le cuffie se le era fregate qualcuno, avevamo la sala computer ma la prof. preferiva farci usare i calcolatori o le vecchie Olivetti. Avevamo una palestra enorme, ma il prof. ci portava a far nuoto nella piscina del parco davanti alla scuola.
La verità è che un pochetto ci piaceva lamentarci, ci piaceva manifestare, la mozione per i pinguini che avevano freddo, i distributori automatici che avevano poco, la Iervolino.
Dal terzo anno ho iniziato a seguire il percorso di studi differenziato rispetto al biennio comune, le materie si facevano più interessanti, avevo geografia turistica, storia dell’arte, economia aziendale, tecnica turistica.
Tecnica turistica mi affascinava tantissimo, citavo il nome della materia ogni volta che potevo da quanto mi piaceva, era altisonante, era misterioso, per me aveva un che di aristocratico. Non vi dico di quando ho iniziato a studiarla. Era la mia passione, era di quelle materie per la quale venivo sgridata dai docenti di altre materie, che me lo dicevano "se hai 8 in tecnica turistica devi prendere 8 anche con me".
Avevamo in quella terza un professore meraviglioso, era bellissimo, aveva gli occhi di un azzurro chiaro ma solido, non era l’azzurro acquoso, aveva un registro di voce basso, ipnotizzante, quando lui parlava tutti noi pendevamo dalle sue labbra, non aveva bisogno di alzare il tono. Era una di quelle persone all’apparenza minute, che occupano poco spazio in cattedra ma la sua potenza energetica, quando stava in classe era di uno spessore enorme.
Sapeva un sacco di cose, era perfettamente preparato nella sua materia ed era ancor meglio preparato nell’affrontare i branchi di adolescenti, classi da 25/30 ragazzine, le ultime tre ore del sabato. Era molto bravo anche ad affrontare il colloquio con i genitori, era diplomatico. Preferiva darti il 6 da portare al 7 piuttosto che il 7 da ridurre al 6.
Questo professore qui, assieme al mio professore di italiano e storia, fa parte della rosa degli uomini che terrò a cuore tutta la vita.
Questo professore qui, il mio vecchio professore di tecnica turistica, si chiamava Roberto Bressanello. Era paralizzato, paralizzato nel senso di plegico, aveva la distrofia muscolare, gli era venuta quando era più giovane; era disabile, è stato il presidente della UILDM, ha lavorato anni e anni con TELETHON, ha creato opportunità, è stato in prima linea per l’eliminazione delle barriere architettoniche, ma prima di tutto era il mio professore di tecnica turistica ed era bravissimo.
E’ il 2010 e non riesco a non pensare che nel 1994/96 scendevamo in piazza spesso per pochezze, e sicuramente per molto meno di quanto ci accada oggi.
..Nessuno, infatti, scenderebbe in piazza per "quanto ci accade oggi", e mi riferisco all'articolo linkato. Vorrei vedere "onde" di studenti a difendere i diritti dei disabili.... è molto meno figo.
RispondiEliminaPurtroppo è così, scendere in piazza per i diritti dei disabili è da sfigati, nessuno vuole essere sfigato, già a sei-sette anni se sbagli a vestirti lo sei, figuriamoci quando vai alle superiori ... I miei coetanei mi lasciano andare da solo alle manifestazioni, loro combattono dal letto di casa. A meno che non ci sia anche una bella figa in corteo. Il resto è Playstation.
RispondiEliminal'altro giorno un caro amico, prof in una scuola per bambini speciali (che qui in Germania esistono), mi diceva pochi giorni fa che, per la sua esperienza, i migliori risultati si ottengono con classi parallele di bambini con disabilità (psichica) e bambini senza, che svolgano separatamente materie come lingua, matematica o storia (per le quali i due gruppi viaggiano oggettivamente su binari diversi), e si riuniscano per altre materie più "socializzanti" come ginnastica, arte o musica. L'inserimento di pochi bambini speciali in una classe di normodotati conduce purtroppo spesso ad una specie di ghettizzazione interna (di questo ho avuto esperienza anch'io come studentessa), mentre questa formula "sperimentale", nell'esperienza di questo amico, ha portato ad un'ottima integrazione, anche e soprattutto nei momenti liberi, non in quelli di "compresenza forzata". E' dal comportamento nell'intervallo che si vede se l'integrazione riesce: che tutti i bambini interagiscano liberamente tra loro e giochino *tutti insieme* nelle pause tra una lezione e l'altra, è la miglior prova che questo modello sperimentale può davvero funzionare...
RispondiEliminal'altro giorno un caro amico, prof in una scuola per bambini speciali (che qui in Germania esistono), mi diceva pochi giorni fa che, per la sua esperienza, i migliori risultati si ottengono con classi parallele di bambini con disabilità (psichica) e bambini senza, che svolgano separatamente materie come lingua, matematica o storia (per le quali i due gruppi viaggiano oggettivamente su binari diversi), e si riuniscano per altre materie più "socializzanti" come ginnastica, arte o musica. L'inserimento di pochi bambini speciali in una classe di normodotati conduce purtroppo spesso ad una specie di ghettizzazione interna (di questo ho avuto esperienza anch'io come studentessa), mentre questa formula "sperimentale", nell'esperienza di questo amico, ha portato ad un'ottima integrazione, anche e soprattutto nei momenti liberi, non in quelli di "compresenza forzata". E' dal comportamento nell'intervallo che si vede se l'integrazione riesce: che tutti i bambini interagiscano liberamente tra loro e giochino *tutti insieme* nelle pause tra una lezione e l'altra, è la miglior prova che questo modello sperimentale può davvero funzionare...
RispondiElimina