24 febbraio 2011

Ci stanno uccidendo con machete e coltelli

"Ci stanno uccidendo con machete e coltelli". Questo è l'sms inviato da alcuni rifugiati eritrei tenuti prigionieri in Libia dove è in atto una vera e propria caccia allo straniero.
Italiani, austriaci, turchi, ma anche tunisini e algerini stanno fuggendo dalla Libia terrorizzati dalla furia del popolo in rivolta. Una rivolta che non conosce ragione perché esplode dopo anni di repressione.
Le principali vittime di questa persecuzione sono però le persone di colore che vengono trucidate con machete e coltelli perché sospettati di essere mercenari al soldo di Gheddafi. Non importa che questi neri siano deboli, ridotti pelle e ossa da anni di prigionia, ma soprattutto disarmati, sono possibili nemici e quindi vanno eliminati.
Chi può fugge verso la propria terra, ma molti di questi rifugiati una terra verso cui tornare non ce l’hanno più, in particolare coloro che provengono dal Corno d’Africa. Per eritrei, etiopi, somali lasciare il proprio paese significa essere dei traditori, non ci sono ambasciate, consolati pronti ad accoglierli.
Hanno affrontato un lungo viaggio alla ricerca della libertà. Hanno attraversato frontiere e deserti, subito torture e stupri, pagato oro un viaggio che ha più le caratteristiche della deportazione.
Arrivati in Libia i più fortunati affrontano la traversata in barca per raggiungere Lampedusa, ma molti vengono respinti dall'Italia nonostante avrebbero il diritto a vedersi riconosciuto lo status di rifugiato. Quindi un altro viaggio, indietro verso un continente che sembra non volerli lasciare andare.
Poi il destino vuole che nel Maghreb scoppi la rivoluzione. Una rivoluzione che parte dai giovani che lottano per un futuro migliore, per la democrazia, per la vita. Quasi tutti i rifugiati sono giovani proprio come i ragazzi libici e probabilmente a loro si vorrebbero unire nella speranza che questa ondata di rivolta contagi tutta l’Africa oppressa dai dittatori, ma forse i tempi non sono ancora maturi.
In questi giorni a Bengasi, Tripoli, Misurata i rifugiati stanno vivendo un dramma nel dramma, ma per loro, come sempre non c’è spazio nei media internazionali, ma più in generale non c’è spazio in questo mondo che continua a rigettarli.
Chissà se tra gli spari e le bombe qualcuno di loro stia cominciando a rimpiangere la propria casa, chiedendosi se sia valsa la pena di giocarsi tutto per rincorrere la felicità.

3 commenti:

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.