Non linko gli articoli che raccontano gli ultimi due o tre stupri della lunga serie che come ogni anno allieta la nostra estate: un po' perché sono sulla spiaggia con un birra in mano e senza computer, un po' perché alcuni dei miei commentatori hanno sagacemente rilevato che per poter denunciare in modo credibile la violenza sulle donne non servono i titoli dei giornali, i quali spesso sono ingannevoli, ma ci vogliono i numeri, le statistiche, le tabelle.
Il che sarebbe perfino corretto, se lo scrivente fosse il titolare di un centro studi invece che un modesto blogger, e avesse quindi il compito di fornire dati ufficiali anziché riferire impressioni, punti di vista, idee.
Ma il punto, se me lo permettete, è addirittura altrove.
Il punto è chiedersi se davvero ci sia bisogno dei numeri per prendere atto di una sopraffazione tanto capillare da investire ogni angolo della vita, dall'educazione alla maternità, dal matrimonio al lavoro, praticata con una pervicacia tanto evidente che è praticamente impossibile non vederla; se servano le tabelle, per rendersi conto che nel nostro paese c'è un nutritissimo gruppo di individui che cerca di sottrarre alle donne perfino le scelte elementari sul proprio corpo, anteponendo ai loro diritti quelli di un embrione e riducendole in tal modo al rango di semplici scatole; se siano necessarie le statistiche, per ascoltare gli apprezzamenti sessisti che scappano dalla bocca di eserciti di maschi tutti i santi giorni, dal mattino in spiaggia fino alla notte in discoteca, nei quali le donne vengono gentilmente ridotte a buchi -diffusamente dislocati- da riempire nei modi più fantasiosi e sono contestualmente equiparate a svariati animali quali pecore, vacche, cagne, zoccole e chi più ne ha più ne metta.
Io, personalmente, non ho bisogno di numeri per rendermi conto di questo allegro contesto: tengo gli occhi aperti e tanto basta per coglierlo nella sua disgustosa completezza.
Quanto a voi, tenaci negazionisti del maschilismo, vi consiglierei di guardare meglio.
Oppure, più semplicemente, di non fingere di non vedere.