L'immigrazione nel nostro Paese è un fenomeno strutturale, è in crescita costante da anni e non si fermerà. Le ragioni sono molteplici: il naturale migrare delle popolazioni dalle regioni povere del pianeta verso i paesi più ricchi, nei quali potrebbero migliorare le proprie condizioni di vita e coltivare la speranza di dare ai propri figli maggiori possibilità di crescita intellettuale e opportunità di lavoro, ma anche i profughi di guerra e i profughi climatici. In linea di principio, in ogni caso, dobbiamo tener conto che la gran parte di coloro che migrano appartenevano, nei paesi di origine, alla classe media e alla piccola borghesia, per la nota ragione che il viaggio verso il futuro costa loro, non solo migliaia di chilometri, ma anche migliaia di euro. Il livello medio di scolarizzazione dei nuovi arrivati è infatti mediamente più alto di quello degli Italiani. Oggi, in Italia, risiedono oltre 5,3 milioni di immigrati regolari, ma l'integrazione di italiani e stranieri e la formazione di una nuova (multi)cultura sono ancora lontani. Non basta essere, come ora, un paese multietnico. Serve che si compia il passaggio verso un paese realmente multiculturale. Integrazione, infatti, non deve significare “assimilazione” del diverso alla nostra cultura, ma mescolanza, arricchimento delle reciproche diversità e, quindi, apertura verso l’arricchimento della cultura italiana grazie ai nuovi apporti delle diverse culture oggi presenti sul territorio.
Il rischio di un percorso diverso dall’integrazione porterebbe la società del futuro ad essere un arcipelago di isole separate, più facilmente portatrici di conflitti sociali: gruppi e clan uniti dall’identità di origine o dalla propria confessione religiosa. Per raggiungere, invece, l’obiettivo di una civile e armoniosa convivenza, dobbiamo iniziare - da subito - a progettare la cittadinanza coesa del futuro. E poiché questa prospettiva ci vede necessariamente “mescolati”, dobbiamo costruire questo processo insieme, Italiani e stranieri, comportandoci già oggi come se fossimo il futuro che abbiamo in mente.
Gli ultimi dati in materia di immigrazione ci forniscono boccioli di speranza: i migranti percorrono naturalmente, pressoché da soli e contro una legislazione fortemente discriminatoria e ostile, la propria strada verso l’integrazione. Prendiamo ad esempio alcuni “indicatori di integrazione” relativi alla regione Lombardia, quella verso la quale si è diretto un quarto dei migranti (1.588.000 del totale dei residenti sul suolo nazionale). La “casa”: il 50% degli immigrati è in affitto, il 23% abita in case di proprietà. La “famiglia” (nuclei composti da almeno padre, madre e un figlio): in Lombardia oggi risiedono 200.000 famiglie di stranieri. E ciò nonostante le Istituzioni non rispettino i tempi di legge per i ricongiungimenti familiari, che sono ben più lunghi di quanto ammissibile legalmente e umanamente. I “minori”: se nel 2009 il rapporto tra figli di immigrati nati nei paesi d’origine e quelli nati in Italia era di 1:1. Nel 2010 il rapporto è balzato ad 1:2, dimostrando una progressiva crescente stabilizzazione dei migranti in Italia. Maggiore integrazione è dimostrata anche dal rapporto uomini-donne, oggi pressoché paritario, e dal generale invecchiamento della giovane popolazione immigrata. Infine, secondo gli ultimi dati, solo il 5% dei residenti stranieri hanno intenzione di rientrare nel paese di provenienza.
I nostri migranti, quindi, percorrono in Italia il proprio progetto di vita e contribuiscono alla tenuta economica (producono l’11% del Pil, con una produttività media superiore a quella degli Italiani), fiscale (versano allo stato oltre 5 miliardi di tasse ricevendo in cambio poco più di 700 milioni di euro in servizi) e sociale (pensiamo alle diverse figure di assistenza familiare) del Paese.
Tuttavia, una politica stantia e a corto di idee ha preso da tempo la strada della cosiddetta “deriva securitaria”, facendo della paura il proprio motore propulsore. Questo modo di procedere prevede un capro espiatorio – gli immigrati, i diversi – contro cui dirigere, tramite il timore, l’attenzione dei cittadini: La deriva securitaria si declina, sempre più spesso, nell’equazione immigrato=criminale tipica della destra più becera e, purtroppo, ultimamente richiamata anche da alti esponenti istituzionali.
Se quindi l’immigrato è il cattivo con cui prendersela per deviare l’attenzione da altre “mancanze”, l’intero quadro normativo in tema di immigrazione poggia su presupposti ideologici e soprattutto irreali. E’ impostato non solo per disincentivare ogni arrivo, ma per rendere la permanenza degli stranieri in Italia un percorso di vita ad ostacoli. Non garantisce il rispetto dei diritti minimi, anche quelli protetti dalla Costituzione. Quando norme adeguate pre-esistono, come per i Trattati internazionali, vengono bellamente ignorate (diversamente dovremmo accogliere i rifugiati e chiudere i CIE – Centri di Identificazione ed Espulsione – a meno che al loro interno cessino immediatamente gli abusi e che i Regolamenti europei vengano applicati).
Oggi, di fatto, la gran parte dei nostri migranti non accede al welfare anche se lavora, non riesce ad esigere il pieno rispetto del diritto alla salute, rischia di dover tornare nell’invisibilità se perde il lavoro, soprattutto in momenti di crisi economica perché i sei mesi del permesso di soggiorno per attesa occupazione sono troppo pochi, probabilmente, anche perché un Italiano trovi un nuovo lavoro. I decreti flussi sono provvedimenti inadatti alla gestione degli arrivi, primo perché non realizzano un reale incontro di domanda e offerta d lavoro, secondo perché – tramite il meccanismo della chiamata dal paese d’origine – non consentono l’emersione dall’irregolarità di chi è già qui, svolge un lavoro e sarebbe ben felice di pagare anche le tasse.
Cosa fare? “Vivere nel mondo di oggi ed essere contro l'uguaglianza per motivi di razza o colore è come vivere in Alaska ed essere contro la neve " (William Faulkner). La soluzione, come sempre, è nella Costituzione, nel significato profondo dell’articolo 1, secondo il quale la Repubblica fonda sul lavoro, e nella necessità di attuare pienamente l’articolo 3, primo e secondo comma. Quest’ultimo, infatti, ci rammenta che non sono ammissibili disparità di “dignità sociale” per motivi di razza, lingua, religione e condizioni personali e sociali. Con riferimento ai temi dell’immigrazione, inoltre, il pregio maggiore di questa bellissima norma è quello di restituire una dimensione umana alla questione, ricordandoci che parliamo di “persone”, non di “risorse” o di “problemi” ai quali non è applicabile il concetto di “dignità sociale”. Il secondo comma dell’articolo 3 attribuisce alla Repubblica (e, cioè, a noi) anche il compito di rimuovere gli ostacoli – di ordine economico e sociale – che limitano l’eguaglianza e quindi impediscono il “pieno sviluppo” della persona umana e impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i “lavoratori” all’organizzazione politica economica e sociale del Paese.
In altre parole, questi principi fondamentali ci indicano la strada maestra per correggere le storture “umane” che la mancata gestione pluriennale dei fenomeni migratori ha posto in essere: l’obiettivo è la parità di accesso alle opportunità. O l’eguaglianza delle posizioni di partenza, come diceva Einaudi. Ispirati, quindi, in particolare , dagli articoli 1 e 3 della Costituzione, dobbiamo mettere in pratica i processi politici che possano realizzare l’uguaglianza costituzionale nella futura società mescolata. Gli strumenti da cui partire per progettare una società fatta non di differenze, ma di persone, sono:
- diritto di voto amministrativo per gli immigrati che vivono e lavorano in Italia. Contribuiscono alla tenuta economica, fiscale e sociale del Paese, devono avere il diritto di contribuire anche alla formazione delle scelte (no taxation without representation);
- diritto di cittadinanza italiana per chi nasce e cresce in Italia perché chi nasce e cresce nel nostro Paese è italiano (dallo Ius Sanguinis allo Ius Soli) e, al compimento della maggiore età, non deve essere obbligato a chiedere un permesso per restare, che sia una richiesta di cittadinanza o di permesso di soggiorno. Non è accettabile logicamente, prima ancora che idealmente, che un minore nato e cresciuto in Italia sia considerato un immigrato, per la semplice ragione che non ha mai migrato, ma è sempre stato qui.
- difesa a tutto campo del diritto al lavoro, che è unico e non modulabile in diverse intensità come, invece, avviene oggi per la gran parte dei lavoratori immigrati.
Sul diritto al lavoro va aggiunta qualche considerazione, e non solo per rispondere al luogo comune secondo cui gli immigrati ci “ruberebbero” il lavoro. I migranti in Italia svolgono mestieri duri, lavori per i quali spesso l’unica offerta di manodopera proviene dagli stranieri. Badanti, pescatori, camionisti, allevatori, addetti alle pulizie, muratori, tate e colf, ambulanti, raccoglitori di mele o di pomodori, addetti ai rifiuti, i conciatori di pellami, cuochi camerieri e lavapiatti, cavatori, facchini, addetti alle fonderie: sono solo alcuni dei mestieri per i quali, negli ultimi anni, è stato raro trovare la ricerca di un posto di lavoro da parte italiana.
In sostanza, quindi, offerta e domanda di lavoro, per Italiani e per stranieri, viaggiano su piani merceologici diversi, incrociandosi molto di rado, con basso rischio di sovrapposizioni tra Italiani e stranieri.
Inoltre, poiché le possibilità di regolarizzarsi sono pochissime anche quando il lavoro c’è, lo sfruttamento della manodopera irregolare è la vera piaga che dà ossigeno alla criminalità, che falsa la concorrenza nel mercato del lavoro, che priva le persone di dignità e le riduce ad una condizione subumana di persistente ricatto e al non poter vivere alla luce del sole per l’estremo bisogno di guadagnarsi la sopravvivenza. Basta fare un giro nelle piazze milanesi o per le sterrate del meridione agricolo, alle 4 di mattina, per vederli in fila davanti ai caporali della mafia. Paga di 2,5 euro l’ora, raramente il primo o gli ultimi mesi di lavoro vengono pagati, nessuna tutela legale e sindacale, nessuna protezione fisica, l’abbandono (spesso nei campi o al ciglio di strade secondarie) del cadavere o del corpo ferito in caso di incidenti su lavoro, obbligo di dormire in stanze affollate a prezzi impensabili che i caporali trattengono dalla paga. Aggressioni violente per chi si lamenta. Se questo è un uomo …
Lo sfruttamento della manodopera irregolare è linfa per la Camorra, per la ‘Ndrangheta, per la malavita organizzata di qualsiasi provenienza. Nei cantieri, ad esempio, consente di prendere subappalti a prezzi di dumping che, poi, strangolano le imprese oneste del settore.
Spesso si sente parlare di concorrenza sleale nel mondo del lavoro. E’ evidente che Mario, operaio cinquantenne con invalidità, costi meno di Nabil, ventenne tunisino senza permesso di soggiorno e senza contratto (e senza fisco). Tuttavia, confondere lo sfruttamento malavitoso della manodopera irregolare con la concorrenza sleale tra lavoratori sarebbe un errore micidiale. Per queste ragioni parliamo di diritto al lavoro “unico” e “uguale per tutti”, auspicando che tutti i lavoratori che producono nel nostro Paese abbiano gli stessi diritti, le stesse garanzie sindacali e di welfare, le stesse protezioni legali e fisiche e parità nelle condizioni salariali di categoria.
Diritto di voto amministrativo, cittadinanza Italiana per chi nasce e cresce in Italia, difesa del diritto al lavoro e della dignità delle sue condizioni sono perciò le condizioni di base perché quel 95% di migranti che non vogliono tornare al Paese d’origine, ma scelgono di rimanere in Italia, possano cominciare a sentirsi parte di un’unica società.
E’ così che si realizza l’uguaglianza o, almeno, che si imbocca la strada giusta.
io dico sempre che quando sarà possibile che l'immigrato laureato faccia un lavoro migliore dell'italiano con la terza media, allora saremo davvero un paese civile
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RispondiEliminaI partiti anti-immigrazione fanno leva ESATTAMENTE sulla paura che avvenga ciò.
RispondiEliminasono d'accordo che la legalità è il perno fondamentale per un processo naturale e virtuoso di immigrazione, e complessivamente, ritengo l'immigrazione un elemento positivo in un paese fondamentalmente invecchiato, con tutto quel che comporta; purtroppo però finchè l'immigrazione sarà uno strumento di facile propaganda basata sulla paura, sarà difficile avere politiche razionali ed eficaci al riguardo
RispondiEliminaLa nostra è la cultura che ha generato il vaticano, il fascismo e la mafia.
RispondiEliminaPeggio di così non si può, quindi incrociandosi con altre culture può solo migliorare.