Con il velo non vale

Mi pareva fossimo arrivati alla conclusione che il burqa può rappresentare un problema solo se nasconde il volto di chi lo indossa e ne impedisce l'identificazione: ebbene, pare che a Rimini una studentessa dell'istituto alberghiero non abbia potuto ottenere lo stage in hotel perché portava il velo, anche se quest'ultimo le lasciava il viso completamente scoperto.
Qualora la notizia venisse confermata, si tratterebbe si scegliere: o decidiamo che anche i capelli costituiscono un elemento imprescindibile per identificare un individuo -però, coerentemente, vietiamo i copricapi, i cerchietti, la tintura, le treccine, le acconciature eccentriche in genere e pure il gel-, oppure ci convinciamo, una volta per tutte, che l'avversione nei confronti del velo nasconde spesso e volentieri un diffuso e fastidioso sentimento anti-islamico.
A voi la scelta.

Grazie a Valeria per la segnalazione

Questo post è stato pubblicato il 08 marzo 2011 in ,,,,. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. o se vuoi lasciare un commnento.

16 Responses to “Con il velo non vale”

  1. E che vuoi scegliere?
    Io piuttosto vorrei sapere qual'è l'albergo che ha sollevato la questione, così giusto per scrivergli una cosina su Trip Advisor...

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  2. Ma li frequentate gli alberghi? Avete mai visto gente con tatuaggi, piercing, trucco pesante, capelli fucsia, gioielli appariscenti, crocefissi al collo, unghie lunghe e smaltate, capelli lunghi sciolti?
    Io proprietario di un albergo ho il diritto di scegliere come debbano vestire i miei dipendenti.
    Quello del burqa e` un altro problema che niente ha a che fare con questo discorso. Mi dispiace che non si capiscano queste cose. Qui il punto e`: puo` una libera impresa imporre un certo look ai suoi dipendenti? L'unica domanda a cui rispondere e` questa.

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  3. @Mattia P.
    spiacente, qui non si tratta di look. Non si tratta di tatuaggi, piercing, trucco pesante, capelli fucsia, gioielli appariscenti, crocefissi al collo, unghie lunghe e smaltate, capelli lunghi sciolti. Si tratta di intolleranza religiosa.

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  4. Rispondi alla mia domanda. Si o no. Tutto il resto sono chiacchere.

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  5. @mattia: la mia risposta è un NO secco.
    L'unica cosa che può essere imposta è una divisa che identifichi un ruolo.
    Se davvero sei un proprietario d'albergo, spero tu sia l'unico con certe idee aberranti.
    E qui, come è stato giustamente detto, la questione è comunque diversa.

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  6. Ma finitela, che lavoro fate? Chi di voi potrebbe indossare un copricapo a lavoro? Non facciamo gli ipocriti. Io stesso sono stato invitato a tenere la barba piu` corta quando devo incontrare dei clienti. E faccio l'ingegnere, non il commesso.

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  7. @ Mattia
    io invece difendo il tuo punto di vista.
    Credo che sia giusto che, se in un albergo da 50 euro a notte il cliente non vuole farsi servire la cena da gente coi capelli blu, coi rasta, con l'anello al naso o un braccio tutto tatuato perchè non è una vista a lui gradita [e a dire il vero non lo sarebbe neppure a me che ho 22 anni!], l'albergatore ha il dovere di accontentarlo [pure io quando ho fatto la cameriera per pagarmi la vacanza a londra non servivo ai tavoli perchè il mio accento era "troppo italiano"],è una questione di rispetto del cliente e su questo mi trovi d'accordo...

    ma il velo penso che sia diverso, l'unica persona che può avere da ridire su una ragazza col velo alla reception è un razzista.

    tu nel tuo albergo impediresti a un ragazzo di colore o coi tratti fortemente orientali di lavorare con te,anche se sono preparati?

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  8. Si, anch'io credo che sia solo un escamotage per nascondere l'odio razziale

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  9. http://en.wikipedia.org/wiki/Eweida_v_British_Airways_plc

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  10. Do ragione a Mattia. Gli alberghi sono un posto di lavoro in cui l'abbigliamento e l'apparire dei dipendenti è severamente regolamentato. Negli alberghi in cui ho lavorato e alloggiato anche i piercing dovevano essere tolti o nascosti sotto un cerotto. Se io fossi il proprietario di un albergo, dalle tre stelle in su, avrei fatto la stessa cosa. O ci si adegua alle policy aziendali, o non si lavora.
    In albergo "i copricapi, i cerchietti, la tintura, le treccine, le acconciature eccentriche in genere" sono proibite. Coerentemente.

    E poi queste intransigenze religiose hanno veramente rotto le scatole. Da qualunque parte provengano. Se la ragazza portasse il velo non perché è musulmana, ma perché magari segue un'assurda moda giovanile o un becero modo di "essere se stessa", nessuno avrebbe avuto niente da ridire. Qualcuno ha forse da ridire sull'altissimo numero di capelloni, tatuati, portatori di piercing, dark, metallari ecc. che non ottengono il lavoro per via del loro abbigliamento? Non gliene frega niente a nessuno. Ma se c'è di mezzo la religione, allora sono gli altri a doversi adeguare. Io penso che Allah, nella sua infinita misericordia, avrebbe chiuso un occhio se durante le otto ore di lavoro avrebbe tolto il velo.

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  11. Non e' che l'albergo prevede (come molto comune) una divisa per i suoi operatori al pubblico? e che questa divisa non preveda copricapo?
    Semplicemente se il proprio sentimento religioso impone un "capo di abbigliamento" si deve rinunciare alle attivita' incompatibili con esso, come i Sikh che non potendo rimuovere il turbante non vanno in moto perchè non possono indossare il casco. Le convinzioni religiose non sono speciali o diverse da altre convinzioni.

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  12. Io penso che la religione sia un fatto personale, come la squadra per cui tifiamo o il fidanzato/a che ci scegliamo. Le scelte personali non possono prevalere sull'organizzazione del lavoro, con l'unica importante eccezione della maternita' e fatti salvi i diritti umani e civili costituzionalmente garantiti.

    In caso di conflittualita' fra le due istanze, e' la sfera personale che viene ridimensionata (sala la partita; la cena fuori, etc...) oppure ci si trova un'altro lavoro.

    Tutti devono essere liberi di esprimere la propria persona come meglio credono, ma le norme di abbigliamento sul lavoro sono un dato di fatto sul quale nessuno discute.

    Il tema riguarda anche il livello di apertura mentale culturale e sociale dei clienti (in Italia direi scarso).
    Non so quanto sia diffuso, ma in Inghilterra ho visto persone con piercing e tatuaggi lavorare sia nei ristoranti che nelle banche. E l'ho apprezzato molto: in effetti non mi piace la standardizzazione dei lavoratori appiattiti su un modello ideale neutro.

    Credo che, per quanto riguarda l'abbigliamento, si possa e si debba trovare un sano equilibrio tra le esigenze aziendali ed individuali.

    Ma per far questo ci vuole una buona dose di ascolto reciproco, flessibilita' e l'abbandono di obsoleti stereotipi.

    Il che vuol dire che dobbiamo tenerci le nostre "uniformi" ancora per un bel po'...

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  13. Non ho letto tutti i commenti sopra per cui qualcuno magari avrà già detto ciò che sto per dire.

    Recentemente ho passato alcune ore a Kuala Lumpur (Malesia, la cui religione ufficiale è l'Islam, ma viene garantita libertà di credo) e ho notato come parecchie delle donne poliziotto indossino il velo (ma non tutte).

    Invece in Canada (Toronto) ma anche altrove ho trovato parecchi uomini e donne, alle casse di un supermercato o agli sportelli delle banche, indossare il turbante (uomini) o il velo (donne) sopra la divisa del supermercato o l'abito elegante per l'ufficio. In generale ho molto apprezzato questa cosa che in qualche modo mi trasmetteva l'idea di rispetto sia della diversità di ogni impiegato sia del ruolo ricoperto.
    In qualche modo è come affermare che, dietro l'addetto che ha una certa divisa che rende chiari ed identificabili i suoi compiti, ci sia anche una persona, con certe idee, un certo credo religioso etc, il che rende il rapporto con questa persona sempre professionale ma anche umano, una persona con cui si possono scambiare anche due parole.
    Almeno a mio avviso.

    Sempre a Toronto, sono stata servita in un bar molto carino da un ragazzo con i rasta, svariati piercing, e qualche tatuaggio. Ebbene, vestito con camicia bianca, gilet, jeans, i capelli raccolti e con un comportamento molto professionale, io non ho nemmeno notato tutte queste "peculiarità".

    Altro esempio, qui a Wellington (NZ), i maori fanno tutti i tipi di lavoro e capita abbastanza di frequente di trovarne qualcuno con i tatuaggi di guerra che fa l'impiegato in banca...

    Credo che la questione sia molto delicata e dipenda molto dal tipo di servizio che i clienti si aspettano. Personalmente preferirei avere a che fare con "persone" più che con "addetti a", pur sempre nel rispetto reciproco.

    P.S. Un mio amico mi ha detto che a Berlino ha visto una poliziotta fare ordine pubblico con un ciuffo di capelli fucsia

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  14. trovo il commento di silvia il più equilibrato, in qualche modo, cioè nel contesto in cui viviamo (italia) quello a cui mi avvicino di più.
    Non riesco a non notare, però, come molti altri commenti siano intrisi di una certa intolleranza di fondo, qualcosa che ci è entrata nelle ossa. E davvero, non mi piace per niente

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  15. Secondo me ha completamente ragione Mattia. Ogni lavoro ha i suoi requisiti, se sei un medico cattolico e non vuoi prescrivere la pillola del giorno dopo non andare a fare il ginecologo. Se un albergo impone un look ben preciso devi accettarlo, altrimenti cambi lavoro. Non vedo perchè il velo debba essere trattato diversamente da piercing tatuaggi, barba, taglio di capelli o qualunque altro aspetto del look di una persona. Qui non si sta discriminando per un fattore religioso, nessuno dice non puoi venire a lavorare perchè sei musulmana; basta rispettare le norme imposte dal lavoro. Si tratta di uguaglianza. Sarebbe discriminazione il contrario semmai, trattare diversamente una persona a causa della sua religione e farla lavorare con regole diverse da tutti gli altri. Sarebbe discriminazione il transigere alla violazione di una regola solo per cause di religione.

    Credo quindi che la posizione dell'albergatore sia legittima e non vi sia alcuna discriminazione dietro. Detto questo, stiamo parlando di una ragazzina delle superiori che rischia di perdere l'anno a causa di ciò, quindi credo che forse l'albergatore avrebbe potuto essere un po più disponibile e fare un'eccezione dato che anche io non ci vedo niente di male in una ragazza che porta il velo (come anche in uno che porta piercing o tatuaggi).
    Gli episodi di discriminazione vera secondo me sono ben diversi e molto più pericolosi. Bisognerebbe rimanere oggettivi ed evitare di chiamare discriminazione qualunque cosa sull'onda dei sentimenti del momento.

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  16. E` chiaro che essendo in Italia permesso il velo a scuola, deve essere la scuola stessa a trovare una soluzione al problema.

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