Buongiorno
a tutti! Minerva, di tanto in tanto, va a nuotare in piscina e l’altro giorno
è rimasta alquanto sorpresa nel veder comparire nello spogliatoio femminile –
frequentato da donne e bambini in tenera età – un avviso che recitava “Nel
rispetto di tutti si prega di fare la doccia indossando il costume”. La ragione
di tale comunicazione le è apparsa immediatamente chiara nel momento in cui una
mamma, con figlio sui 3 anni al seguito, ha richiamato una ragazza che stava
facendo la doccia senza costume mostrandole il cartello e sottolineando il
fatto che, appunto, bisognasse “pensare ai bambini!”. Perplessa per la
situazione in corso, nella mia mente s’è visualizzato il perfido commento di un
amico educatore di fronte a genitori ansiosi e poco elastici di mente – “poi si
stupiscono quando da grandi diventano tossici” – ma poi ci ha pensato su più
seriamente...
In
effetti, coprire il proprio corpo o scoprirlo è una scelta portatrice di
potenziali messaggi. Come qualsiasi altra azione degli esseri umani che pur
risponda a necessità primarie – quali in tal caso quella del ripararsi dal
freddo – è sempre possibile interpretare tale atto come ‘comunicazione’ (“è
impossibile non-comunicare”, dice Paul Watzlawick) e
quindi metterlo in relazione a specifici contesti culturali propri e altrui (la
classe sociale, l’età, la religione ecc.) e a concezioni soggettive della
vergogna, del buon gusto, di ciò che i bambini possono o non possono sapere e
via dicendo.
Non
sarebbe allora utile tenere a mente questa prospettiva sia quando
istintivamente proviamo un moto di repulsione al doverci obbligatoriamente
coprire pure in contesti come quello citato, sia quando parliamo del velo che
copre le donne musulmane?
Perché le
cose non sono semplici e pacificate – checché voi crediate – non lo sono
affatto neanche per noi donne italiane, cari signori!
Rispetto all’uso che nell’islam si fa del hijab, per esempio, come donna provo un certo senso di disagio, perché in me
c’è sempre il sospetto di potenziali premesse che non accetto in alcun modo:
per esempio, che la malizia – il ‘peccaminoso’ – risieda in colui che è
guardato e non in chi guarda, o che il velo sia una costrizione imposta alla
donna da un marito o da una comunità che mirano a sacrificare
l’autodeterminazione dell’individuo al bene della collettività. La
questione, però, è invero molto più complessa di così.
Fatima
Mernissi scrive che il concetto di
‘Hijab’ è legato a tre finalità che spesso si sovrappongono – sottrarre
allo sguardo, segnare un confine verso l’esterno, proteggere qualcosa che è
proibito (cfr. Donne del Profeta.
La condizione femminile nell'Islam, 1992) – e nella mia esperienza queste sono
poi da mettersi in relazione alla concezione del corpo (e) della donna in
contesti culturali ‘altri’ dotati a loro volta di una variabilità di sfumature
locali pari al nostro mondo. La lunga frequentazione di donne immigrate che
vivono in Italia mi ha confermato questa interpretazione aggiungendovi inoltre
le declinazioni individuali nella scelta di ciascuna. Si può indossare il velo
per risultare ‘invisibili’ negli spazi sociali e relazionali che la singola
persona frequenta (in cui appunto per quel tramite ci si sottrae allo sguardo
altrui in contesti aperti, sconosciuti o ‘promiscui’), o per lanciare il
messaggio implicito che si stanno ‘indossando dei confini’ che qualsiasi
musulmano percepisce come inviolabili (sebbene tale significato pare si stia
perdendo nella contemporaneità), o ancora per sottrarsi al rischio di sedurre
chi non interessa rispetto al proprio amante/compagno/marito al quale si voglia
specificamente donare il proprio corpo.
Presa
coscienza delle componenti di questa alterità con cui ormai ci confrontiamo
quotidianamente, sono poi tornata a me e tanto al mio istintivo disagio verso
il velo, quanto al moto di repulsione per quel cartello in piscina. Perché
se da una parte quest’ultimo mi disturba, tutta una serie di scelte rispetto al
come vestirmi che io – ‘emancipata donna occidentale’ – ho compiuto nel tempo sono
altresì, ora lo vedo chiaramente, strategie che ho adottato (ancorché talvolta
addirittura inconsapevolmente) per specifici scopi all’interno del mio contesto
culturale.
Il mio vestire
colori scuri, che non diano nell’occhio, è sempre inteso a lanciare il
messaggio “non considerate la mia presenza, fate come se non ci fossi”. L’indossare
scarpe senza tacchi se esco da sola la sera è finalizzato a essere in grado di
scappare qualora venissi importunata (poi non è detto che un coltello alla gola
non faccia saltare qualsiasi strategia). O ancora il prediligere un
abbigliamento non appariscente è per non dare il mio corpo in pasto – anche
solo visivamente – a chi non mi interessa, per cui nel tempo ho teso sempre più
a vestirmi a strati e nascondere le mie forme. Scelte basate su obiettivi e
strategie in cui ipotizzi reazioni altrui – in positivo o in negativo – a un
tuo comportamento, e decidi dove e come (provare a) ‘negoziare’ il rapporto per
il tramite di un capo di vestiario. Scelte che indicano che non siamo libere
neanche qui.
E quando
mi ripenso appena maggiorenne ad andare in giro da sola la sera, ricordo anche
che indossavo gli anfibi, correvo veloce, e cantavo a squarciagola nel pieno
della notte con i soliti uomini agli incroci che commentavano “Ehi, questa è
tutta matta!” e mi stavano lontani. Non era pure quello un tentativo di
affermazione della propria libertà di movimento pur gettando l’occhio tragicamente
anche al ‘doversi difendere’ da sé nel fare questo?
I
problemi alla base di qualsiasi riflessione sul velo islamico o
sull’abbigliamento di una donna occidentale è che raramente prendono in considerazione
sia la complessità delle scelte e delle motivazioni di ciascuna persona, sia la
dimensione della libertà e della sicurezza in cui questa si trova ad abitare il
mondo e una società.
L’imposizione
di indossare un velo può essere una forma di coercizione che relega
all’invisibilità sociale e toglie il diritto di partecipazione alla scena
pubblica a una donna se questa lo volesse, come allo stesso modo l’imposizione
per legge di toglierlo, in un contesto di libera espressione, può essere
interpretato dalla persona in questione come una condanna all’esposizione di sé
che magari la farebbe sentire ‘nuda’.
Il fatto
di dover indossare un costume da bagno – pur se donna tra donne e bambini – per
fare una doccia mi fa sentire soggiogata a un punto di vista che assume il mio
corpo come in primis ‘potenzialmente peccaminoso’ (e che quindi è meglio
nascondere piuttosto che liberare igienicamente del cloro), ma mai discuterei
d’altro canto la scelta di chi voglia tenersi il suo addosso per qualsivoglia
motivo.
Qualsiasi
legge – pur se formulata con le migliori intenzioni – che ci dica quanto e come
coprirci o scoprirci, secondo me, è quindi comunque illiberale perché entrerebbe
a regolamentare una sfera intima della nostra persona delegando la
responsabilità di ciascuno nella gestione delle relazioni con gli altri a
qualcosa di esterno alla mente dell’individuo.
Quello su cui i membri di una società/comunità civile dovrebbero, a mio avviso, impegnarsi
con un lento e paziente lavoro pedagogico reciproco è il responsabilizzarsi e il responsabilizzare ciascuno di noi verso il
proprio comportamento nei confronti degli altri (quali, ad esempio, la
gestione dei nostri ‘istinti’) – percependo
i limiti nelle nostre teste prima che nel corpo altrui e nel modo in cui ci
viene presentato – e l’assumere il rispetto
e la consensualità come premesse imprescindibili nei rapporti reciproci (e
qui vi rimando all’agghiacciante elenco di violenze riassunte nel post
di Metilparaben di qualche giorno fa che dimostrano proprio la negazione di
queste premesse, che a me terrorizza in sé indipendentemente dall’afferenza
culturale di chi le mette in atto).
Minerva
continuerà a indossare scarpe senza tacchi se esce di casa sola la sera, ma – nello
spazio sicuro dello spogliatoio femminile della piscina – non si esimerà dal discutere
all’infinito con le mamme che hanno fatto mettere quel cartello spiegando le
sue ragioni di dissenso, e portando queste donne alla consapevolezza di tutta
una serie di sfumature sul corpo, lo sguardo, il coprirsi o lo scoprirsi che queste
non hanno evidentemente ancora mai ipotizzato o sulle quali possono ancora
riflettere per imparare a convivere in un mondo in cui ciascuno è diverso e si devono trovare modi per stare bene insieme
senza che nessuno si senta sopraffatto dalla coercizione altrui. E ciò
avverrà probabilmente con buona pace dei bambini che – è una delle poche cose
di cui sono certa – se ne infischieranno di questi discorsi ‘da grandi’ e
continueranno a giocare serenamente tra loro con bagnoschiuma e bolle di
sapone.
Minerva, gli sguardi reciproci e le strategie di nascondimento delle donne
Questo post è stato pubblicato il 21 marzo 2011 in donne,libertà,velo. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. o se vuoi lasciare un commnento.
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Quanto casino per non mettere le tendine alle doccie... :-))
RispondiEliminaio se fossi un bambino sarei solo contento di fare la doccia con delle donne nude :)
RispondiEliminaSimpatiche battute, invero il problema che ho raccontato è ben più profondo di un paio di tendine in una doccia - è a livello di relazioni tra gli esseri umani nelle vite quotidiane, e non è affatto piacevole dovercisi confrontare :-(
RispondiEliminaAl di là degli scherzi... ho sempre ritenuto che la mia libertà terminasse dove cominciava quella degli altri, quindi non discuto nè le usanze arabe (per il semplice motivo che se le arabe non desiderano il velo dovrebbero essere loro a porre il problema e non io) nè il comportamento della mamma, che in definitiva può educare il proprio figlio come meglio crede. Quello che discuto è semmai il modo, secondo me tutto si sarebbe potuto risolvere con una garbata richiesta di maggiore attenzione alla sensibilità di tutti.
RispondiEliminaSarei anche d'accordo, ma dove sta questo limite della libertà individuale? Nello sguardo altrui o dovrebbe albergare nella mente di ciascuno di noi?
RispondiEliminaPerché se il mio corpo viene visto come peccaminoso/lussurioso in sé, allora mi devo vestire pensando prioritariamente a proteggermi da un potenziale stupro, che anzi potrebbe addirittura essere parzialmente de-penalizzato (i discorsi sul "la donna che veste in un certo modo" - leggi: non con uno scafandro - "indica che è disponibile" sono tragicamente correnti, eh?), mentre se lo si considerasse semplicemente il 'corpo' di una 'persona' con i suoi sentimenti, le sue idee e via dicendo, forse saremmo liberi, ma liberi veramente. Cosa che qui non siamo.
Ripeto: la malizia sta nell'occhio di chi guarda. Io non salto addosso a ogni bell'uomo che va in giro per strada con le maniche della camicia rimboccate, non ci penso neanche!, perché non posso sperare che la cosa sia reciproca anziché sentir levare un coro di apprezzamenti e dover tenere ancora oggi lo sguardo basso in alcune situazioni per 'passare inosservata'? Io so solo che non sono libera.
E che madri come quelle educano i figli a vedere il 'male' nel corpo altrui anziché insegnare loro che si può guardare a quello con diversi sguardi, e che siamo esseri pensanti che possono anche dominare i propri istinti animali nei confronti di quello che - ripeto - è solo un corpo di una persona.
@Minerva...
RispondiEliminasiamo così abituati a giudicare i comportamenti degli altri da aver perso d'occhio i nostri comportamenti. Pur frequentando esclusivamente locali pubblici con spai per fumatori, più di una volta mi sono trovato a spegnere volontariamente e senza che nessuno me lo chiedesse il mio sigaro, semplicmente perché sentivo vicino a me qualcuno che stava tossendo...
Chi sei tu, chi siamo noi, per giudicare come una madre educhi il proprio figlio? Vogliamo davvero metterci a sindacare sui comportamenti privati? Non c'è niente di più privato del proprio corpo, questo lo ammetterai, e non c'è niente che meriti più rispetto della sensibilità altrui, e anche su questo converrai.
"... è quindi comunque illiberale perché entrerebbe a regolamentare una sfera intima della nostra persona delegando la responsabilità di ciascuno nella gestione delle relazioni con gli altri a qualcosa di esterno alla mente dell’individuo."
RispondiEliminaFrancamente, quest'affermazione non ha alcun senso. Anche ammettendo che farsi la doccia nudi sia in qualche modo collegato alla "gestione delle relazioni con gli altri" (?), non è condizione sufficiente perché sia consentito da una società liberale. Questo perché il liberalismo è oggi stettamente collegato al concetto di democrazia e quindi, necessariamente, al volere di una maggioranza; chiaro dunque che se ai più infastidisce il nudismo venga vietato nei luoghi comuni. Che poi sia in spiaggia, per strada, o sotto la doccia delle piscine, è indifferente.
Il problema è diverso: l'educazione dei figli non è un comportamento privato se poi quel figlio di quella madre un domani voterà per farmi mettere il burqa perché secondo lui il corpo della donne è 'impuro' in sé, e non il suo sguardo.
RispondiEliminaIl che è una grossa differenza dallo spegnere volontariamente un sigaro per evitare di provocare indirettamente un tumore a un'altra persona: io non rischio di procurare un tumore a qualcuno solo perché ho un corpo che sto proprio solo lavando (e si parla pure di bambini piccoli, di età pre-scolare!). Sono proprio due cose che nulla hanno a che fare l'una con l'altra: una un domani mi impedirà ulteriormente il libero movimento, l'altra ha a che fare con la protezione della salute fisica altrui dai miei vizi.
Se la maggioranza della popolazione sta però in una interpretazione dei rapporti reciproci che vede il malizioso nel corpo dell'altro e non nel proprio sguardo, allora non c'è alcuna differenza tra la mia assenza di libertà e quella di una donna sequestrata in casa dal marito. Se non avessi un'auto mia, non fossi abituata a guardarmi le spalle e a cammuffarmi quando esco, anche io sarei sequestrata in casa - dalle aspettative sulle donne di questa società - e se continueremo a accettare che una parte della società eroda lo spazio di libertà sul proprio corpo da parte di un'altra parte della società, poi avremo ben poco da lamentarci che non ci venga accordata la possibilità di scelta individuale su fecondazione assistita, testamento biologico e via dicendo, inerenti tutte la nostra rivendicazione di gestione personale del nostro corpo...
Questo è un grande problema in gran parte dell'Italia. Se siete stati nelle piscine e saune alto-atesine avrete scoperto come è invece obbligatorio stare nudi. Questo perché il costume è meno igienico nel momento in cui si suda, perché evita la traspirazione e favorisce la formazione di batteri e funghi facilmente trasmissibili.
RispondiEliminaNelle piscine non c'è questo obbligo, ma mi pare che negli spogliatoi ognuno faccia come gli pare, e vi assicuro che si sta meglio.
Nei nostri spogliatoi tutti abbiamo l'impressione di essere guardati e giudicati, forse perché è così. In Alto-adige non interessa a nessuno, ed è una liberazione.
La questione tendine non è così fuori luogo, se ogni doccia fosse separata con delle tendine o comunque ripari di qualche sorta, ognuno potrebbe lavarsi come meglio crede senza sentirsi in imbarazzo o ibarazzare gli altri, e sarebbe il modo più giusto per accomunare sensibilità diverse.
Questo è un problema molto comune in occidente: l'imbarazzo per il nudo. Io personalmente trovo più "naturale" essere nudo mentre mi cambio e mi lavo, se poi mi vergogno evito io di farlo, ma se si vergogna qualcun altro al mio posto è sempre il solito problema di persone che vogliono imporre agli altri il proprio senso di percezione. "A me fa schifo, non lo fai" "Gli omosessuali non possono baciarsi in pubblico, fa schifo ed è un cattivo esempio per i bambini" siamo alle solite.
La questione dell'educazione ai bambini è una stupidata, a un bambino va insegnato a convivere con la naturalezza del proprio corpo, ogni insegnamento contrario è vero che spetta al genitore ma è anche vero che è sbagliato dal punto di vista pedagogico e ha serie ripercussioni sulla percezione sessuale dell'individuo in età adolescenziale e di conseguenza adulta.
Il problema di questi genitori è la sovrapposizione tra nudo e sesso, ed è più patologica una persona che non distingue le due cose di una persona che tranquillamente si spoglia perché non ha alcun atteggiamento sessuale in uno spogliatoio. La persona più "fuori luogo" è quindi il genitore pudico, che vede sessualità ovunque.
Invece che tutelare i genitori che insegnano ai bambini ad avere paura del nudo, e a doversene nascondere, tutelerei i bambini da loro che pedagogicamente fanno più danno che altro. Assecondarli porta solo a crescere una società di persone che confondono sessualità e nudo con ovvie ripercussioni, le vediamo tutti i giorni.
Mi limiterei ad allontanare le persone che si comportano in maniera "sessualmente aggressiva" ma è abbastanza scontato che possano farlo anche con un costume addosso, bambini presenti, o meno.
@Lord: sono d'accordo con te a livello generale, nel senso che in democrazia vengono tutelate, o dovrebbero essere tutelate, anche le istanze delle minoranze. Quindi che la sensibilità della signora in questione rappresenti la maggioranza o la minoranza non c'entra, va comunque tutelata. Rimanendo nel caso in questione, mi rendo conto solo ora che la mia battuta inziale non era poi così scherzosa. In effetti tutto si sarebbe davvero risolto mettendo le tendine, ma ormai siamo così abituati a mettere in discussione tutto e a fare di tutto una questione di principio.
RispondiEliminaMi limito a dire che sono d'accordo con Venerdi.
RispondiEliminaIl problema sta alla radice ovvero la matrice cattolica e finta puritana di questo paese. Non è il comportamento della madre da analizzare e criticare ma le abitudini, limitanti, alla base della società odierna.
Cerchiamo di vedere le cose nel loro insieme, se ci priviamo di una parte di esso avremo una visione ristretta delle cose.
anche nella mia di piscina c'è il medesimo cartello, e son rimasto stupito dato che ho 40 anni ed avrò frequentato una miriade di spogliatoi nell'arco della mia esistenza sportiva, poi mi son reso conto che nello spogliatoio alcuni padri stavano rivestendo delle bambine, piccolissime ed innocenti invero, ed in effetti mi son sentito un pò in imbarazzo, che io sia di indole troppo pudica per i tempi?
RispondiEliminaBeh, io una volta ho fatto lite con una SIGNORA dentro lo spogliatoio MASCHILE di una piscina perché ero nudo sotto l'accappatoio.
RispondiEliminaLa signora era con il suo bambino e non trovava di essere in torto. Anzi, è andata a protestare col proprietario...lei e altre tre o quattro signore, che d'abitudine accompagnavano i loro figli nello spogliatoio maschile non pensavano di essere fuori posto. Il reprobo ero io.
Se ci penso mi arrabbio ancora. Ed evidente che qui non stiamo parlando di sessismo nei confronti delle donne.
sto per dire una cosa ovvia, per quanto riguarda la mamma in questione la malizia è nei suoi occhi, a tre anni il pistolino serve per pisciare.
RispondiEliminaEd è così per molte altre cose, sono gli adulti ad essere maliziosi, i bambini sono tavole bianche, far percepire a quell'età la nudità come un errore, nella fase primogenea della formazione della sessualità lo considero un errore, non sono naturista ma nulla ho contro il nudo.
Sarebbe interessante un documentario sul tipo de "Il corpo delle donne" per vedere com'è cambiata la nostra percezione della pudicizia negli ultimi 20 anni.
RispondiEliminaPer mia esperienza, penso che i costumi siano diventati molto più 'elastici', soprattutto man mano che le generazioni sono cambiate, ma questa cosa ha prodotto anche una consistente risacca di quella che i "meno pudici" trovano "oscurantismo", "ritorno al Medioevo".
Per me non c'è niente di così strano: la doccia è un luogo pubblico come può essere una spiaggia per non-nudisti. Tu in spiaggia ti denuderesti all'improvviso, così, davanti a tutti? No. Evidentemente lì dentro vige un regolamento da spiaggia "normale". Non c'è nulla di giusto o sbagliato, hanno semplicemente deciso che fosse meglio così, forse per non avere lamentele, casini o altro che non possiamo immaginare.
RispondiEliminaQuello che ho voluto sottolineare con questo post non era tanto il caso specifico (che per me era giusto un'occasione di autoriflessione), quanto la necessità talvolta di travestirsi/coprirsi per sottrarsi allo sguardo concupiscente di chi non sa frenare i propri istinti. E' giusto questo o non lo è? Ci si può sentire davvero 'libere' in una situazione del genere?
RispondiEliminaQuello che è in gioco, a ben vedere, sono in ultima analisi i 'limiti' della libertà mia/altrui sul mio corpo e la coercizione che talvolta viene esercitata dalle persone le une sulle altre. Se, infatti, accettiamo che corpo = 'oggetto sessuale alla mercè di chi guarda', un domani - su queste stesse premese - potrebbe essere il corpo potrebbe essere un 'oggetto' staccato dalla persona alla mercè di chiunque abbia piacere di impedirci una pillola del giorno dopo, l'etanasia o la procreazione assistita.
Ciò ha in parte a che fare col senso del pudore (e nessuno qui predica il nudismo o non è disponibile a indossare un costume) ma soprattutto col farci riflettere che forse - se appunto la malizia non è in chi guarda, ma in chi è guardato - arriveremo a giustificare una violenza perché magari la gonna di una donna era troppo corta e in fin dei conti ciò significava che la donna che l'ha subita "era disponibile" o, quanto meno, "se l'è andata a cercare".
Che differenza c'è allora tra questo e l'imposizione coatta di un velo, o il mettercelo in testa da sole per (tentare di) essere al sicuro? :-(
Regà qua stiamo in mezzo a un mare di guai per via del fatto che è più facile trovare un armadillo in skateboard che qualcuno in pace col proprio corpo e ci aspettiamo che ci si sappia relazionare col corpo degli altri? Credo che un sentire comune SANO riguardo il rapporto fra nudità e visione parta appunto da una consapevolezza di base di noi stessi e della NOSTRA nudità. E finché ci sarà chi segue chi ordina cosa sentire col proprio corpo e come relazionarsi col corpo degli altri cercando di instradare a proprio vantaggio un sentire comune in proposito possiamo continuare a tenerci ben strette le saponette sotto le docce degli spogliatoi.
RispondiEliminaLe docce sono fatte per lavarsi...vista questa funzione, è assurdo, a mio parere, imporre di tenere il costume addosso. Tanto vale non fare la doccia allora. La nudità in quel caso ha un senso assolutamente funzionale ed innocente. Trovo assurdamente bacchettone il vietare di togliersi il costume...ed infatto lo tolgo sempre lo stesso; mi sono trovata in imbarazzo solo una volta, quando all'improvviso sono arrivate un sacco di donne arabe velate con bambini maschi al seguito, le quali hanno iniziato a sgridarmi e urlarmi dietro... Il tutto mentre mi sciaquando il bagnoschiuma. (Comunque pare che il divieto nelle docce sia perchè il personale delle piscine deve poter entrare sempre negli spogliatoi, anche se di sesso opposto)
RispondiEliminaImporre il costume in presenza di bambini in uno spogliatoio di piscina o palestra, è semplicemente diseducativo. Questo è il mio parere. Occorre pensarla bene l'educazione al corpo e alla relazione col corpo e con la sessualità, d'accordissimo: tranne che demonizzare la nudità in quel contesto è proprio un errore :)
RispondiEliminaio sono per una forma leggera di provocazione. se no se si subisce e basta non si portano mai le tematiche all'attenzione di nessuno. leggera provocazione significa prendere le cose con un sorriso e spiegare i motivi per cui si CONTINUA a fare quello che si fa. al massimo viene interdetto l'ingresso alla piscina, in questo caso. ma tanto, chi mai si accorgerà se poi ci ritorniamo?
RispondiEliminaper sciogliere alcuni legacci di troppo dobbiamo perorare le nostre cause, sostenendone le ragioni. se non si cambiano gli altri, per lo meno non ci si abbrutisce nei nostri stessi riguardi
L'impostazione cattolica alla quale l'italiano si rifà totalmente,vede la donna ed il suo corpo
RispondiEliminanon come peccaminosi ma proprio come "il peccato" e l'atto sessuale è peccato proprio perchè legato all'oggetto donna.(tranne nei casi dove previsto dalla cei)
Ora se siamo ormai da anni indottrinati nuovamente da una classe dirigente controriformista,oscurantista
patto-lateranense,conservatrice,asservita al monarca assoluto sul soglio pontificio,è NATURALE doversi confrontare poi con questa realtà dei fatti,della quale il tuo episodio è solo un esempio tra mille.
L'omofobia ed il peccato sono gli obiettivi da raggiungere per soggiogare nuovamente totalmente ed incondizionatamente,un popolo sapientemente ridotto all'ignoranza e alla superstizione.
Ti starò pure sulle palle,ma continuo comunque ad affermare,che le donne,in moltissimi casi, sono ben felici della parte data loro in questa squallida commedia(parlo delle italiane).
Ah piesse:
Il mondo non è popolato di stupratori,maniaci,e misogini.
Mettitelo un bel vestito per uscire la sera...
@ sassicaia molotov: "finché ci sarà chi segue chi ordina cosa sentire col proprio corpo e come relazionarsi col corpo degli altri cercando di instradare a proprio vantaggio un sentire comune in proposito" non avremo diritto di scelta sulla gestione del nostro corpo nelle fasi fondamentali delle nostre vite (tra cui riproduzione e morte) - è proprio questo!
RispondiElimina@ Spazzolone: "L'omofobia ed il peccato sono gli obiettivi da raggiungere per soggiogare nuovamente totalmente ed incondizionatamente,un popolo sapientemente ridotto all'ignoranza e alla superstizione" - d'accordissimo con te, stavolta, e nessuna critica: come sai quello da cui parto è sempre l'assunzione del relativismo, quindi se dici "le donne, in moltissimi casi, sono ben felici della parte data loro in questa squallida commedia" mi trovi d'accordo. Adeguarsi al sentire comune è infinitamente più comodo per quieto vivere, dopodiché, però, non credo le medesime dovranno poi permettersi di lamentarsi quando un medico non prescriverà loro una pillola perché obiettore di coscienza e quindi deciderà del loro corpo, eh? ;-)
[certo che mi metto un bel vestito, ma comodo e con scarpe attrattanto comode, ché non intendo dipendere dalla protezione di nessuno per difendermi da quell'unico idiota, avallato da una cultura ignorante e oscurantista, che rischio di incontrare, pur se il mondo, lo so bene, non è prioritariamente popolato di stupratori, maniaci e misogini - per fortuna!]
Ma poi chi è che viene protetto dall'esistenza di spogliatoi unisex? chi guarda, dalla tentazione, o chi è guardato, dall'imbarazzo di esserlo?
RispondiEliminaO forse vogliono proteggere i pargoli dallo shock di vedere il corpo nudo di una donna adulta troppo presto, cioè prima che sappiano accendere la tv o imparino ad andarselo a cercare da soli su internet?
E se una delle donne nello spogliatoio fosse lesbica, salterà quindi addosso a quelle che si tolgono il costume? Protesterà per lo stimolo ormonale in luogo non consono? O si autodenuncerà, chiedendo di essere ammessa allo spogliatoio maschile?
Pofferbacco, ora che ci penso, sia mai che in tutte le volte che mi sono spogliato in palestra qualche altro uomo possa avermi guardato con occhi peccaminosi! Da ora farò la doccia in jeans, così, per sicurezza.
Propongo una interrogazione parlamentare sull'argomento: istituire per legge in tutte le palestre spogliatoi separati per gli omosessuali? L'argomento raccoglierebbe più di un consenso, suppongo.