Comunque la si pensi, una cosa mi pare innegabile: il tema della libertà di espressione e dei suoi eventuali limiti è un vero e proprio nervo scoperto; prova ne sia il fatto che assai di rado si riesca a discuterne con la lucidità che di solito viene riservata ad altri argomenti, e che il confronto sfoci spesso e volentieri nella nella reciproca accusa, nella rissa, nell'insulto.
L'esempio perfetto di questo genere di dinamica è il dibattito sul fascismo, ma la circostanza non deve ingannare: il meccanismo si replica in modo pressoché identico ogni qual volta ci si trovi a dover decidere se sia giusto concedere a qualcuno la possibilità di esprimere la sua opinione, quale che sia l'area dello scibile umano cui essa si riferisce, anche nel caso in cui detta opinione venga giudicata aberrante dal senso comune e/o dalla maggioranza degli altri.
Il nocciolo della questione, a parer mio, consiste nel fatto che gli individui vengono toccati da questo tipo di dibattito nei loro punti più delicati: l'immagine che hanno di se stessi, il confronto di quell'immagine con la realtà concreta e l'esito che scaturisce da quel confronto. Toccare quei punti, secondo me, può essere destabilizzante, e quindi innescare dei meccanismi di autodifesa che sfociano spesso e volentieri nella rabbia e nell'aggressività, sia pure meramente verbale.
Il guaio è che voler eludere un meccanismo del genere evitando di mettere sul tappeto certi argomenti finisce, di fatto, per creare una cosa di cui è meglio non parlare: cioè, sinteticamente, materializzare un tabù; e siccome sono proprio i tabù, per come la vedo io, le zavorre che non ci permettono di essere davvero liberi nonostante le reciproche differenze, e quindi di declinare la democrazia nel modo costruttivo che le sarebbe consono, io insisto a parlarne, di quelle questioni.
Nonostante il fatto che ogni volta, puntualmente, qualcuno abbia l'alzata d'ingegno di farmi pervenire messaggi non proprio amichevoli e talora non del tutto rassicuranti.
Io, insomma, alla creazione dei tabù preferisco non partecipare.
Nel mio piccolo, naturalmente, e per quel poco che vale.
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Archive for dicembre 2011
Un nervo scoperto
Vota la "perla" del 2011
Le ho messe insieme un po' al volo, con l'aiuto del blog e della memoria: però, nonostante l'inevitabile incompletezza, vi invito lo stesso a scegliere la più clamorosa tra le "perle" pronunciate dei nostri politici nel 2011.
Come dite? Sono state sparate pallonate ancora più grosse? Non discuto: ma d'altronde si tratta di un gioco, no? E allora, come si dice, tanto vale giocare.
Tocca a voi, gente: votate, votate, votate.
Che errore chiudere Casapound
«Sì, sono fascisti. Ma con la loro visione sociale hanno attratto tantissimi giovani. E sono diventati concorrenti della sinistra. Metterli al bando sarebbe una sciocchezza». Dopo i fatti di Firenze, un sociologo di sinistra che studia da tempo il gruppo di estrema destra mi spiega la sua tesi in un'intervista.
Qua, su L'Espresso.
Luccichii abbaglianti
Solo per dire che se uno vuole denunciare che "il luccichio abbagliante" dei negozi allontana la gente dalle cose importanti della vita -circostanza della quale, peraltro, sono convinto anch'io, sia pure con un taglio leggermente diverso-, e che è necessario "ritrovare l'umiltà" -idem come sopra-, farebbe meglio ad evitare di indossare "i paramenti dorati delle occasioni più solenni" e scegliere un abbigliamento più sobrio.
Badate, lo dico senza alcuna ironia e senza la minima traccia di scherno: però un discorso del genere -che, lo ripeto, in qualche modo ritengo importante- sarebbe assai più credibile se venisse da un monaco tibetano scalzo e vestito con una pezza di cotone.
Poi ciascuno si regoli pure come meglio crede.
Fiancheggiatori della democrazia
Siccome mi riferiscono che il dibattito è tuttora animatamente in corso, l'occasione mi è gradita per ripetere come la penso.
Io sono convinto che in democrazia si possa dire tutto. E quando dico tutto intendo tutto, senza eccezioni di sorta.
Sono altresì convinto che sia proprio la possibilità di dire tutto, e di poterlo fare senza eccezioni, l'elemento fondamentale che contraddistingue una democrazia: e quindi, di conseguenza, reputo antidemocratico il comportamento di chiunque si provi ad impedire che chiunque altro dica qualunque cosa.
Aggiungerò che a mio modestissimo avviso non ha alcuna rilevanza, e soprattutto ha ben poco fondamento logico, la circostanza -spesso paventata con una certa disinvoltura- che la cosa detta da quel chiunque sia "antidemocratica": perché la democrazia, per quanto ne so, è semplicemente un metodo; e quindi è il modo in cui si cerca di affermare un'idea che può essere, casomai, antidemocratico, non certo l'idea in sé e per sé.
Mi corre l'obbligo di rilevare, inoltre, che se uno esprime un'idea che non ci piace, che ci risulta odiosa o che troviamo addirittura aberrante, e qualcun altro si dà da fare per lasciargliela esprimere, ciò non significa affatto che quel qualcun altro sia d'accordo con l'idea in questione: e andare a dire in giro che il secondo sarebbe un "fiancheggiatore" del primo appartiene a metodi che di democratico non hanno neppure il nome; leggasi menzogna, calunnia, maldicenza, tutta robetta che nei regimi non democratici, guarda caso, prospera e fiorisce allegramente.
Ciò detto, chiudo.
Non prima di aver aggiunto che chi vorrebbe difendere la democrazia a forza di tacitare gli altri non deve averne molta, di fiducia nella democrazia.
E senza neanche scomodare Voltaire, ché non ce n'è bisogno.
La vita, la libertà, la gioia
Ieri non ho scritto neanche una riga per ricordare i cinque anni dalla morte di Piergiorgio Welby: ho preferito riflettere per conto mio su quei giorni, che sono stati tra i più importanti e significativi della mia vita.
Ho partecipato attivamente, per quanto ho potuto, a realizzare la volontà di Piero: l'ho fatto ragionando insieme a Marco Cappato fino a spaccarci il cervello, quando sembrava che tutte le strade fossero chiuse; l'ho fatto fermando le persone ad una ad una, in mezzo alla strada, per spiegare il senso di quello che chiedevamo prima ancora che per ottenere una firma; l'ho fatto scrivendo comunicati, articoli, post, partecipando a seminari, avanzando proposte assurde in interminabili riunioni con i compagni; l'ho fatto svegliandomi nel cuore della notte, senza riuscire più a prendere sonno, per la paura che non ce la facessimo; l'ho fatto partecipando alla gioia (sì, ho detto la gioia) dei funerali, in un indimenticabile giorno di dicembre che pareva primavera inoltrata.
Il 20 dicembre 2006 Piergiorgio Welby, il più grande leader politico (di nuovo sì, ho detto leader politico) che abbia avuto modo di conoscere, è morto anche grazie a quello che ho fatto io: e non ho avuto mai, neppure per un attimo, la sensazione di aver partecipato a un omicidio.
Insieme ai miei compagni, in quei giorni, ho onorato la vita; ho fatto quello che potevo per aiutare un uomo libero a realizzare la sua volontà; ho imparato una lezione che ha fatto di me un essere umano migliore e che mi accompagnerà fino all'ultimo dei miei giorni.
Oggi, a distanza di cinque anni, non ce l'ho su con nessuno: nemmeno con quelli che non hanno capito niente e ci hanno dato degli assassini.
Piergiorgio mi ha insegnato cosa siano la vita, la libertà, la gioia.
Peggio per loro, che non lo sanno.
La disobbedienza implica l'autodenuncia
Come ho già avuto modo di scrivere qualche giorno fa, non sono un fan scatenato del governo Monti; per formazione, politica, inoltre, nutro una vera e propria passione per le battaglie politiche portate avanti attraverso metodi nonviolenti.
A scanso di equivoci, tuttavia, l'occasione mi è gradita per ricordare ai dirigenti della Lega Nord che la disobbedienza civile ha senso solo se seguita immediatamente dall'autodenuncia: il che equivale a dire che la paventata "obiezione di coscienza" consistente nel non versare l'IMU sarà qualificabile come tale solo nel caso in cui chi si sarà astenuto dal pagamento provvederà immediatamente a comunicarlo ai competenti uffici fiscali.
Mi auguro che gli amici leghisti forniscano ai loro militanti indicazioni chiare ed inequivocabili in tal senso: altrimenti non si tratterà di disobbedienza civile, ma semplicemente di evasione fiscale.
Così, per la precisione.
Quando il disastro sarà compiuto
C'è qualcosa di raggelante, nella crisi economica che sta investendo il pianeta come un uragano infinito: ed è qualcosa di più della semplice consapevolezza di potersi permettere meno di prima, di fare sempre più fatica ad arrivare alla fine del mese, perfino di scendere con tutte le scarpe sotto la soglia di povertà.
Quello che toglie il fiato per quanto fa paura è accorgersi, a poco a poco, che il sistema di cui ci si è fidati per decenni sembra iniziare davvero a non funzionare più; che il benessere e la prosperità che quel sistema sembrava destinato ad assicurarci per sempre svaniscono giorno dopo giorno, inesorabilmente, e quelli che dovrebbero avere in tasca le soluzioni per raddrizzare la situazione non sanno che pesci prendere; che non esiste un'alternativa pronta a sostituirlo, quel sistema, quando dovesse sibilare l'ultimo rantolo e venire giù come un castello di carte.
Credo sia questo a terrorizzarci, più che la povertà: la sensazione di ritrovarci soli in mezzo a un gigantesco corto circuito, il sospetto di dover mettere da parte tutto quello che credevamo di sapere, la prospettiva di non avere più nessuna certezza non tanto su quello che metteremo nel piatto domani sera, ma soprattutto sulla credibilità dell'unico modo di farlo che abbiamo mai conosciuto.
Non può succedere, hanno continuato a ripeterci per tutti questi anni, perché questa è la strada giusta e deve portare per forza da qualche parte: e oggi il dubbio che quelle parole non siano altro che un mantra vuoto ci attanaglia come una morsa, ci spalanca gli occhi nel cuore della notte, ci toglie il fiato quando pensiamo a cosa succederà dopodomani.
Formiche impazzite, andiamo avanti a ripetere finché possiamo gli unici riti che conosciamo perché non siamo capaci di immaginare altro: ma da qualche parte, dentro di noi, si fa strada il pensiero che quei riti non servano più a niente, e anzi che siano solo un modo come un altro per accelerare la fine.
Quando il disastro sarà compiuto, allora forse ricominceremo a respirare, a farci qualche domanda, a riflettere tutti insieme.
Senza avere più niente da perdere, perché alla fine avremo perso tutto quanto.
Il celibato e la pedofilia: vogliamo vederci chiaro?
E' davvero sorprendente il fatto che le gerarchie ecclesiastiche, sempre pronte a puntare l'indice verso i presunti danni che i ragazzi subirebbero in caso di adozione da parte di una coppia omosessuale, facciano finta di niente quando si tratta di riscontrare i disastri che l'obbligo del celibato potrebbe causare ai loro preti e ai ragazzi che hanno a che fare con loro.
Non c'è bisogno di essere scienziati, e men che meno anticlericali, per farsi venire il dubbio che l'incidenza degli episodi di pedofilia tra i sacerdoti, assai più elevata rispetto a quella che si riscontra in altre categorie sociali, abbia più di un legame con la compressione della sfera sessuale che viene loro imposta fin dall'adolescenza: dubbio che, sia detto per inciso, è stato ripetutamente e pubblicamente espresso non solo da laicisti impenitenti come me, ma perfino da numerosi -e spesso eminenti- rappresentanti del clero cattolico.
Ognuno, sia chiaro, è libero di imporre a se stesso le rinunce che preferisce: ma se fosse dimostrato un nesso causale tra l'obbligo del celibato e la propensione alla pedofilia, specie in una categoria di individui che lavora spesso e volentieri a stretto contatto con i bambini, il celibato cesserebbe di costituire semplicemente una questione di scelta personale, per assumere il contorno assai più inquietante di un vero e proprio pericolo per la collettività.
Io sono del parere che la Chiesa Cattolica dovrebbe farsi carico di promuovere un'accurata ricerca scientifica sulla vicenda, per verificare concretamente l'esistenza del rischio e la sua dimensione: rendendosi disponibile, se del caso, ad affrontare radicalmente la questione del celibato.
Se si rivendica con enfasi un ruolo sociale, ne converrete, occorre anche assumersene pienamente tutte le responsabilità
Perché sono contrario a chiudere Casapound
Questo, com'è già successo, sarà il solito post impopolare: e come sempre, siccome sono abituato a scrivere quello che penso, me ne farò una ragione.
Il fatto è che non riesco proprio a capire in che modo impedire a un razzista di parlare possa giovare alla causa di quelli che -come me, tengo a precisarlo per chi dovesse farsi venire il dubbio- sono contro ogni forma di razzismo.
Voglio dire: se in Italia il razzismo c'è, c'è, e allora si tratta di affrontarlo, non di nasconderlo sotto al tappeto come se non ci fosse; perché oscurare una questione non equivale mai a risolverla -sarebbe fin troppo facile, non credete?-, e impedire a chicchessia di esprimere le proprie idee -per quanto aberranti ci sembrino, e dico ci "sembrino" non perché non sia convinto che lo siano, ma semplicemente perché ad altri potrebbero sembrare aberranti le nostre, leggasi ad esempio la legalizzazione dell'eutanasia- non può produrre l'effetto di abrogare quelle idee dalla sua mente e da quella degli altri che le condividono, ma casomai quello di fornire loro perfino l'alibi del martirio.
Anche a me, credetemi, fa male da morire ascoltare un uomo che teorizza la superiorità di una razza sull'altra: però sono anche consapevole del fatto che non lasciarlo parlare, e quindi esimersi dal doverlo ascoltare, non sposta di una virgola il problema.
Ne consegue, per arrivare a una sintesi, che a mio modo di vedere i terribili omicidi di Firenze non sarebbero stati scongiurati, ed anzi avrebbero persino potuto essere ulteriormente incoraggiati, se Casapound fosse stata chiusa due anni fa: e che chiuderla oggi non servirà a un bel niente, se non a lavarci la coscienza con il solito gioco delle tre scimmiette che non vedono, non sentono e non parlano.
Dopodiché, evidentemente, i reati vanno perseguiti con severità: è un reato ammazzare un uomo, ed è un reato pure incitare chi si fosse determinato a farlo.
Ma sostenere, per qualche astrusa ragione, che gli immigrati debbano andarsene tutti, che esistano razze inferiori, che gli esseri umani non siano tutti uguali, queste sono semplicemente opinioni: e il fatto che quelle opinioni mi facciano vomitare non può spingermi, in uno stato di diritto, a fare in modo che chi le ha non debba poterle esprimere, ma dovrebbe indurmi a lasciargliele esporre nella legalità e subito dopo a contestarle, smontarle, smascherarle, ridicolizzarle con gli strumenti della dialettica.
E adesso, se volete, via con gli insulti.
Come dicevo, sarò in grado di farmene una ragione.
Isabella Rauti stacca le gomme americane, ma non i manifesti abusivi
La notizia è che Isabella Rauti, moglie del sindaco Alemanno, è scesa in campo contro i chewing-gum appiccicati sui muri e sui marciapiedi.
L'occasione mi è gradita per invitare la first lady, già che c'è, a dedicare un po' di tempo anche ai manifesti politici abusivi, anch'essi appiccicati arbitrariamente sui muri, tra i quali figura spesso e volentieri il nome di suo marito.
Perché le gomme americane sotto le scarpe daranno pure fastidio, ma i faccioni dei politici non sono da meno: specie se i partiti non pagano al Comune un euro di quanto dovrebbero per piazzarli in ogni dove.
Che dice, signora Rauti, stacchiamo anche quelli?
Tre pillole al giorno
Ricevo, e volentieri pubblico.
Ciao, volevo scriverti due righe a proposito di una cosa che mi è successa tempo fa.
Come tante ragazze mi è capitato di rimanere incinta e di voler abortire: disoccupata, indebitata e incinta sono 3 parole che vedevo malino messe vicine, sai com'è...
Facendo tutto il santissimo iter ho saputo che in tutta Roma per la pillola abortiva ci sono 3 posti disponibili al giorno, e questi solo al San Camillo. Altra cosa, la mattina al San Camillo si danno i numeri: il repartino infognato per le interruzioni può visitare e può parlare solo con 5 donne al giorno per gli appuntamenti degli aborti, per cui ci si deve alzare il più presto possibile e sperare di arrivare tra le prime 5 o è tutto da rifare.
Io ho puntato la sveglia alle 6, sono arrivata quinta al secondo tentativo.
Se fossi arrivata quarta mi avrebbero trovato un posto per la pillola RU486, ma siccome sono stata lenta -per così dire- mi è toccato aspettare 2 settimane per l'intervento.
C'è da dire che il personale è fantastico e che tutte le infermiere sono state gentilissime, mi hanno consolata e mi hanno fatta piangere perché ne avevo bisogno, mi hanno ascoltata come se fossi stata l'unica ad andare da loro completamente nel pallone.
Ah, e l'intervento è veloce, e dopo ti danno anche un panino col prosciutto.
Ecco, niente. Mi chiedo solo se nel 2012 per abortire c'è bisogno di fare le corse a chi arriva prima di mattina presto, e se in tutta Roma è umano che ci siano 3 pillole al giorno.
Uno schifo, e sicuramente qualcosa che avrai già sentito, ma vabbè.
Mi sono appena iscritta al tuo blog e non so se ne hai già parlato. Visto che si parla tanto (o NON si parla tanto) di preservativi e malattie trasmissibili parliamo anche di questo.
Lettera firmata.
Augusti pareri
Volto o vulva, fa poca differenza
Non so, a me pare che ce la prendiamo tanto con gli islamici e il loro burqa, con la condizione della donna tra gli immigrati che vengono dai paesi economicamente meno sviluppati, con gli assurdi precetti cui costoro si sottomettono, e poi non facciamo una piega quando nel nostro avanzatissimo paese c'è ancora gente che nutre una vera e propria ossessione per la verginità delle donne, vale a dire per la circostanza che il loro imene non venga danneggiato dal pene di un maschio prima del matrimonio, al punto da indurre una ragazza terrorizzata a raccontare una balla dalle conseguenze disastrose -ancorché ingiustificabili, come scrivevo ieri- pur di non dover confessare ai genitori di essere stata "deflorata" prima delle nozze.
Sarà che sono io, ad essere strambo: però non vedo una gran differenza tra l'alzata d'ingegno di piazzare un velo sulla faccia di una donna e quella di controllare l'integrità della sua vagina; né ce ne vedo molta tra l'idea di emarginarla perché va in giro col volto scoperto e quella di schifarla perché il membro di qualcun altro è già penetrato nella sua vulva.
In entrambi i casi si tratta di controllare il corpo di un altro essere umano, pretendere di disporne come se fosse il proprio, cercare di impedire che il legittimo proprietario ne faccia l'uso che ritiene più opportuno: né rileva, come qualcuno potrebbe avere la tentazione di eccepire, il fatto che l'essere umano oggetto di tanta attenzione genitale sia minorenne, a meno di non voler ammettere che piazzare per forza un velo in faccia ad una ragazza sotto i diciotto anni costituisca un'operazione tollerabile.
Volto o vulva, insomma, fa poca differenza.
Dovremmo andarci più cauti, quando prendiamo per il culo gli altri e diamo loro dei selvaggi.
La sinistra non esiste più
E' piuttosto evidente che per potersi proclamare di sinistra non sia sufficiente occupare una certa posizione nell'emiciclo parlamentare: occorre attuare delle politiche, per l'appunto, di sinistra, o alternativamente non sostenere delle politiche di destra, o quantomeno saperle riconoscere come tali quando ci si trova a doverle valutare.
Ebbene, il fatto che il leader del principale partito della sinistra italiana arrivi a dichiarare che il governo Monti "non è un governo di destra" significa che in Italia, perlomeno in Parlamento, la sinistra non esiste più.
Indipendentemente dal posto in cui poggiano i lombi i suoi (sedicenti) esponenti.
E se invece fosse stato vero?
Il punto non è che la storia dello stupro raccontata dalla ragazza fosse falsa.
Il punto, con ogni evidenza, è il linciaggio.
Il punto è il rogo, che sarebbe stato ugualmente ingiustificabile se la violenza sessuale fosse stata autentica.
Il punto è lo stato di diritto, che dovrebbe precludere azioni da far west anche di fronte al più efferato dei delitti.
La vera notizia è l'azione da Ku Klux Klan che è stata messa in scena, non la smentita della presunta vittima.
Quella, in un paese civile, dovrebbe essere un dettaglio insignificante.
Sent from my Blackberry®
I governi tecnici non esistono
Joël Robuchon, il celeberrimo cuoco francese, prepara il purè di patate utilizzando un'enorme quantità di burro; alcuni esponenti della cucina moderna, invece, ne utilizzano pochissimo, e a volte usano soltanto un filo d'olio d'oliva.
Si tratta, in entrambi i casi, dell'opera di cuochi professionisti: vale a dire, per utilizzare un termine di grande attualità, di tecnici.
Da ciò si desume con una certa evidenza un significativo insegnamento: il fatto che una cosa venga fatta da qualcuno che è un esperto del campo, cioè un tecnico, non significa affatto che quello sia l'unico modo possibile per farla; altri esperti, cioè altri tecnici altrettanto validi, potrebbero essere convinti che quella cosa vada fatta in modo completamente diverso, senza per questo risultare meno efficace.
Il fatto è che negli ultimi tempi stanno cercando di convincerci che i provvedimenti del governo Monti, in quanto adottati da tecnici, siano gli unici potenzialmente in grado di fronteggiare la crisi; che non sia possibile, proprio perché sono dei tecnici a proporli, immaginarne di diversi; e che quindi quei provvedimenti siano ineludibili, col risultato che opporvisi rappresenta un atteggiamento semplicemente irresponsabile, e che solo chi si rassegni a condividerli possa essere considerato realmente interessato al bene comune.
Ebbene, io resto convinto che per ottenere lo stesso risultato esistano assai spesso, per non dire sempre, strade "tecniche" diverse; che la scelta tra queste strade consista proprio nella dimensione politica; che criticare un governo tecnico, di conseguenza, non equivalga automaticamente ad essere degli sfascisti, ma semplicemente ad avere un'opinione politica diversa.
Insomma, io credo che i governi tecnici non esistano: e che quelli che oggi si allineano con grande sfoggio di gravità alle decisioni di Monti non abbiano affatto il monopolio della responsabilità.
Tutto qua.
Meglio così
Ieri sera, spinto dalla curiosità, ho deciso di dare un'occhiata al TG1.
Ebbene, dopo i prevedibili servizi sulla manovra del governo Monti, sulla situazione dell'euro e su un paio di fatti di cronaca, il telegiornale della prima televisione di stato ha ritenuto opportuno occuparsi, non senza un certo approfondimento, del momento d'oro di Jovanotti e dell'ingiusto arresto di Don Matteo nell'ultima puntata dell'omonima fiction.
Se ne deve dedurre, evidentemente, che ieri nel mondo non è successo nient'altro di interessante: finite le guerre, risolte le crisi, inerti i capi di stato, in panciolle gli eserciti.
Meglio così, no?
Fronti
La notizia della minorenne di Trento che i genitori vorrebbero costringere ad abortire contro la sua volontà è giusto quello che ci vuole per chiarire la posizione di quelli come me, che i nostri amici crociati si ostinano a definire membri di un fantomatico "fronte contro la vita".
La questione, in realtà, è di una semplicità disarmante: voler costringere all'aborto una che desidera proseguire la gravidanza è esattamente come voler impedire l'aborto a una che intende interromperla.
Se ne deducono, per logica elementare, due considerazioni; in primo luogo, che la posizione di cui talora mi faccio modestamente portavoce non rappresenta un "fronte contro la vita", ma casomai un "fronte per la libertà di scelta", che è una cosa molto diversa; in secondo luogo, che gli antiabortisti oltranzisti e quelli che vogliono costringere le persone all'aborto, apparentemente portatori di posizioni antitetiche, appartengono in ultima analisi al medesimo schieramento, vale a dire il "fronte contro la libertà di scelta".
Conviene stare attenti a quello che si sostiene, insomma, se si vuole evitare di ritrovarsi come compagni di viaggio individui coi quali ci si illude di non avere niente a che fare.
Che ci piaccia o no.
La Ribalta di Metilparaben
Come vi avevo accennato qualche settimana fa, ogni mercoledì all'una in punto sono ospite di Radio Popolare Roma nella trasmissione "Ribalta", condotta da Luca Sappino e Matteo Marchetti.
La puntata di oggi era intitolata "Lo chiamavano equità" e parlava della manovra del governo Monti: a me, però, andava di parlare dell'AIDS e del preservativo, e così ho fatto.
Per ascoltare la puntata cliccate qua: il mio editoriale, come sempre, è proprio all'inizio, ma se potete vi inviterei ad ascoltarla tutta, perché la trasmissione è davvero ben fatta.
Buon divertimento.
Il tempo vola
Ieri sera ho avuto la fortuna di guardare Ballarò esattamente nei cinque minuti in cui Antonio Catricalà diceva che il governo non è intervenuto sulle esenzioni ICI della Chiesa perché non ha ancora avuto il tempo di studiare la questione.
Dico "fortuna" perché la scenetta, tra l'altro accompagnata da un elogio al presidente Monti, il quale secondo Catricalà sarebbe un uomo che non sa mentire, è stata decisamente divertente: specie nella parte in cui Maroni rispondeva una cosa del tipo "c'è poco da studiare, l'ICI alla Chiesa o la metti o non la metti", dimenticando tuttavia che all'argomento, guarda caso, non aveva trovato il tempo di dedicarsi neanche il suo governo.
Sono convinto, chissà perché, che il tempo per dare un'occhiata agli immobili dei vescovi continuerà a mancare anche in futuro, a questo governo e a quelli che gli succederanno; e che invece abbonderà per alzare il prezzo della benzina, per istituire nuove imposte a carico dei lavoratori e per mandarli in pensione ancora più tardi.
L'ICI sugli immobili della Chiesa, evidentemente, fa questo effetto: quando se ne parla, il tempo vola.
E' colpa vostra
I dati parlano chiaro: tra i ragazzi di età compresa tra i sedici e i diciannove anni sei su dieci hanno rapporti sessuali, ma cinque non usano il profilattico nemmeno per quelli occasionali; due credono che l'AIDS si curi con un vaccino, e uno si è già preso una bella malattia sessualmente trasmissibile.
Sono numeri obiettivamente agghiaccianti, dai quali si desume che i nostri figli corrono un grave pericolo perché non dispongono di informazioni importantissime: eppure voi, amici crociati, vi battete ancora affinché i preservativi non vengano distribuiti nelle scuole e i giovani non ricevano alcuna informazione sessuale.
Perché è immorale, dite. E' immorale e incita i ragazzi a fare sesso. Come se fare sesso fosse di per sé una cosa brutta. E come se non sapeste che la gente fa sesso lo stesso, indipendentemente dal fatto che se ne parli o no: con l'unica differenza che lo fa in modo peggiore, crogiolandosi nell'ignoranza e rischiando la pelle.
Voi, però, preferite così: occhio non vede, cuore non duole.
Sapete cosa? Siete oggettivamente responsabili per ogni ragazzo che si ammala, per ogni ragazzo che muore: semplicemente, è anche colpa vostra, che vi piaccia o no.
Se aveste un decimo della coscienza di cui vi agghindate, non ci dormireste la notte.
Piselli in prima serata
La novità è che la RAI ha aperto un'inchiesta interna sulla questione della parola "profilattico", che sarebbe stata proibita ai conduttori durante la giornata mondiale contro l'AIDS.
A parte il fatto che l'operazione ha tutta l'aria di essere un blando sedativo per tutti quelli che non hanno digerito il diktat, il punto vero mi pare un altro: in presenza di una malattia grave come l'AIDS una televisione di stato che si rispetti non solo dovrebbe usarla, la parola "profilattico", ma dovrebbe trasmettere in prima serata dei filmati in cui si spieghi ai giovani come utilizzarlo, in modo esplicito e con l'aiuto di immagini inequivocabili.
Per i più inclini a scandalizzarsi, al limite, potrebbe essere previsto l'impiego di un fallo in plastica, anche se non vedo proprio a chi possa nuocere la visione di un pisello autentico.
Per le persone di buon senso, specie se vista in televisione durante un documentario, si tratterebbe semplicemente di una parte anatomica come un'altra.
Chi invece ci trovasse lo spunto per una morbosità diversa farebbe bene a farsi due domandine su se stesso, invece di inveire contro gli altri.
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Non è solo colpa di chi ci governa
Oggi è stata la mia prima giornata con il car sharing: alle nove in punto mi sono recato al parcheggio vicino a casa mia, ho preso il pandino che avevo prenotato e me lo sono tenuto tutto il giorno, perché avevo un sacco di giri da fare.
Peccato che al momento della riconsegna dell'auto ho trovato i posti riservati in cui avrei dovuto lasciarla, delimitati da tanto di linea gialla, occupati da due macchine che col car sharing non c'entravano niente.
Così mi è toccato armarmi di santa pazienza, telefonare al call center per chiedere cosa fare, sorbirmi un lungo giro alla disperata ricerca di un posto libero sulle strisce blu, e infine telefonare di nuovo al call center per comunicare l'indirizzo al quale avevo faticosamente trovato parcheggio.
Il che, in estrema sintesi, equivale a dire che un paio di maleducati mi hanno fatto perdere mezz'ora che avrei potuto dedicare ad altro semplicemente perché non avevano voglia di cercarsi un parcheggio, come invece è toccato fare a me anche se non avrei dovuto, e di pagare qualche spicciolo.
Ebbene, io credo che sommando tutte le mezz'ore come quella che vi ho raccontato -ivi comprese quelle assai più serie, tipo le macchine che occupano arbitrariamente i posti riservati ai disabili o gli scivoli dei marciapiedi- si disegni il quadro di una città che fa fatica a diventare più facile da vivere non solo per le mancanze di chi la governa, ma anche per colpa di quelli che ci abitano.
E credo anche che sia un po' troppo facile limitarsi a prendersela con i politici, quando i primi artefici delle difficoltà che siamo costretti a vivere tutti i giorni siamo noi stessi.
Finché non ce lo ficchiamo bene in testa tutti, la vedo davvero dura.
Sent from my Blackberry®
Morire di AIDS, ma democristiani
Correva il mese di dicembre del 1988, avevo poco più di vent'anni e l'allora ministro della Salute Carlo Donat Cattin, esponente di spicco della DC, fece recapitare a me e ad altri milioni di italiani una lettera in cui si diceva che per prevenire il virus dell'HIV occorreva praticare la castità.
Corre il mese di dicembre del 2011, sono passati ventitré anni e durante la giornata mondiale contro l'AIDS, su esplicita indicazione del Ministero della Salute, i conduttori RAI non pronunciano neanche una volta la parola "profilattico".
Vuoi mettere la soddisfazione di morire di AIDS, ma democristiani?
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