Anche se spesso e volentieri -più che altro per brevità- tendo a definirmi vegetariano, in realtà sono un onnivoro selettivo: con ciò intendendosi chi si nutre in prevalenza di verdure e consuma la carne, il pesce e i loro derivati soltanto se soddisfano determinate condizioni.
Nel mio caso, al momento, il principale criterio di scelta consiste nel sistema con cui gli animali vengono allevati: non mangio carne e pesce che provengono da allevamenti industriali intensivi, perché quei metodi di allevamento sono incredibilmente nocivi per l'ambiente in cui viviamo e implicano trattamenti di indicibile crudeltà nei confronti degli animali.
Non escludo di escludere (ops) dalla mia dieta, nel prossimo futuro e non prima di essermi informato un tantino di più, altre tipologie di carne: a cominciare dal pesce non allevato, ma pescato con metodi non rispettosi dell'habitat marino e delle specie che ci vivono, e proseguendo con i derivati come latte, uova e formaggio, sui quali per il momento sono un tantino (ma solo un po') meno attento di quanto dovrei.
Si tratta, naturalmente, di una scelta che ha dei risvolti economici: il pesce pescato costa tre volte il prezzo del pesce di allevamento, e la carne biologica può costare cinque o sei volte il prezzo di quella industriale; ma il problema si aggira facilmente mangiando il pesce e la carne con una frequenza rispettivamente tre volte e sei volte inferiore a prima, arricchendo la dieta con più legumi e rassegnandosi al fatto che perlopiù ci si abbuffa troppo, e quindi mangiare un po' di meno non può che far bene alla salute.
Tutto ciò, per essere chiari, pur non essendo un antispecista radicale: personalmente, l'idea di mangiare altre specie animali non mi provoca disagio di per sé, se non nella misura in cui non lo ritengo sostenibile o comporta un prezzo troppo alto in termini di sofferenza degli animali che consumo.
Non è stata una scelta indolore: fino a qualche mese fa tendevo ad essere scettico sul comportamento dei vegetariani, e spesso e volentieri assumevo nei loro confronti un atteggiamento tra il beffardo e lo sprezzante; comportamenti che in realtà, come spesso accade, erano degli inconsci meccanismi difensivi nei confronti di una questione che percepivo come importante ma che facevo fatica ad affrontare.
Adesso, quando qualcuno cerca di mettermi alle strette come io facevo con gli altri (avete presenti quei giochini dialettici del tipo: "Se ci tieni tanto all'ambiente perché non te stai in una grotta a fare i segnali di fumo, invece di consumare energia elettrica usando il computer?") non mi incazzo neanche un po', ma mi viene un gran senso di tenerezza perché ci rivedo l'Alessandro di qualche -non molto- tempo fa, tutto proteso a giustificare la sua inerzia con qualche motivazione vagamente plausibile.
E poi, dopo essermi ripreso dalla commozione, tiro fuori la solita risposta, che detto per inciso è quella vera: faccio quello che posso, anche se so che potrei fare di più, e non è detto che prima o poi quel di più non decida di farlo.
Forse non è molto, ma è incomparabilmente meglio che fare finta di niente.
Archive for febbraio 2012
Onnivoro selettivo
Neanche di destra
Credo che Vendola sbagli sul conto di Veltroni: un conto è dire -come ha fatto il leader di SEL- che uno è di destra, un altro conto sarebbe dire che non è neanche di destra.
Sono due ipotesi decisamente diverse, e nel caso di specie temo che la seconda, oltre ad essere la peggiore, sia pure quella corretta.
Provo disagio
Ricevo, e volentieri pubblico.
"Carabinieri.it TANGO DOWN" tuittano gli hacker tutti tronfi. E centinaia di persone rituittano. E quindi? Solo i cazzo di videogiochi sapete fare?
Quello si arrampica sul palo e poi casca e va in coma. No, non se lo merita come dice Libero, ma cazzo: si può dire che se l'è cercata? E no, non sei un cazzo di eroe come Ghandi. State da cinque, da dieci, da venti anni a fare gli Agnolotto e Casareccio di professione, e non ottenete nulla se non o di farvi ammazzare di botte, o di devastare a sfregio la qualunque (giustificando peraltro nell'opinione pubblica -non solo in Belpietro!- l'odio verso di voi e le botte che prendete).
Stalin li avrebbe tutti mandati a lavorare questi perdigiorno del cazzo che non sanno cosa sia la Rivoluzione. E' sovvertire il sistema. Se quello si sovvertiva in piazza spaccando, in quanto basava il suo potere sulla forza (erano altri -e bei, aggiungerei) tempi, questo si sovverte NON COMPRANDO IL CAZZO DI IPAD (metaforicamente parlando).
"Siamo incazzati. Vogliamo cambiare tutto!" Bene. Vai a zappare. Mangia grano. Ridigli in faccia a quelli che ti vendono un rasoio usa e getta (wat?) IN UNA CONFEZIONE CHE PESA PIÙ' DEL RASOIO STESSO!!!
Scusa, e' che sono incazzato che debbo aspettare ancora 10 giorni per avere la mia nuova Audi A1.
Rosario.
Quando una compagnia diventa una categoria
O più probabilmente in entrambi.
The Artist, l'apoteosi del guscio
Può darsi che sia io a non averci capito niente, ma in estrema sintesi "The Artist" mi è parsa la solita storia storia del viale del tramonto -già vista e rivista in decine e decine di pellicole oltre all'originale-, con la variante del lieto fine e una particolarità: quella di avere ad oggetto il declino di una star del cinema muto a causa dell'avvento del sonoro e di essere raccontata, per l'appunto, come un film muto degli anni venti.
L'idea, ne convengo, è piuttosto ingegnosa, e per essere onesti pure ben realizzata: ma al di là di questo, come dire, non contiene un bel niente, come un pacchetto confezionato in modo elegantissimo ma completamente vuoto.
Ecco, il fatto che un film del genere sia stato premiato con una pioggia di Oscar -tra l'altro i più importanti- mi pare una declinazione perfetta del gusto -non solo cinematografico, ma artistico in generale- che va per la maggiore di questi tempi: grande passione per gli esercizi di stile, per i virtuosismi, per le imitazioni impeccabili degli originali, per le alzate d'ingegno cerebrali e paraculette, ma poca attenzione -per non dire repulsione- nei confronti della sostanza, della novità, dell'intensità; in estrema sintesi, l'apoteosi del guscio a scapito della ciccia.
Il fatto, temo, è che spesso e volentieri la ciccia implica uno sforzo di comprensione, porta con sé la necessità di mettere in discussione quello che si crede di sapere, tende ad essere poco rassicurante: mentre un bel guscio vuoto permette a chi lo guarda di tornarsene a casa con la gratificante sensazione di aver assistito a uno spettacolo colto senza dover subire il fastidioso effetto collaterale di provare emozioni, farsi domande, coltivare dubbi.
Abbiate pazienza, ma io non riesco a non vederci una metafora inquietante dei tempi in cui viviamo.
Vorrà dire che mi rivolgerò altrove
Dal momento che non ho mai avuto la passione della moda, non mi pare di aver mai acquistato nulla dall'azienda che vedete qua sopra.
Nondimeno, se pure vendessero le cose che mi piacciono di più al mondo, credo che da loro non comprerei mai più niente: perché secondo me continuare a pubblicizzare un livello di magrezza che ormai è diventato un vero e proprio problema sociale come se fosse la cosa più figa del mondo non è esattamente il massimo della responsabilità.
Dopodiché, naturalmente, ognuno continua a regolarsi come meglio crede: vuol dire che se deciderò di diventare trendy mi rivolgerò altrove.
L'allevamento intensivo e il proibizionismo
Siccome il post di ieri ha suscitato un acceso -e interessante- dibattito, l'occasione mi è gradita per precisare come la vedo -al di là del tema specifico dell'allevamento intensivo- su un paio di concetti.
Essere antiproibizionisti, per come la vedo io, non significa necessariamente ritenere che nulla vada vietato; così come essere libertari, sempre secondo me, non vuol dire pensare che ciascuno sia libero sempre e comunque di fare il cazzo che gli pare.
Mi pare chiaro che il limite, banalmente, consista nella necessità che gli altri non debbano subire un danno -oggettivo e documentabile- in ragione dell'esercizio della libertà individuale.
Io, ad esempio, sostengo l'antiproibizionismo sulle droghe, perché sono convinto che in un regime di legalizzazione i tossicodipendenti sarebbero messi nelle condizioni di nuocere solo a se stessi, e non agli altri; così come ritengo che gli omosessuali dovrebbero essere liberi di sposarsi come tutti gli altri, giacché il danno invocato da chi si sente "offeso" alla vista di due gay che si tengono per mano attiene alla sfera dei loro personali precetti, e quindi mi pare tutt'altro che oggettivo.
Viceversa, tanto per fare due esempi facili facili, sono favorevole a che si impedisca alla gente di passare col semaforo rosso, poiché l'obbligo di fermarsi, ancorché obiettivamente lesivo della libertà personale di chi vorrebbe tirare dritto, è posto a tutela dei disgraziati che attraversano con il verde; e allo stesso modo, mentre ritengo che ciascuno sia libero di fumare quanto gli pare e piace a casa sua, concordo col divieto di farlo in luoghi chiusi in cui ci sono altre persone, in ragione dell'esigenza di tutelare la loro salute.
Approvare quei divieti, a mio modesto modo di vedere, non significa affatto essere un proibizionista: altrimenti si dovrebbe concludere che per essere autenticamente antiproibizionisti sarebbe necessario approvare incondizionatamente qualsiasi comportamento sostenuto dalla volontà individuale, ivi compresi il furto, lo stupro e l'omicidio.
Ciò detto, ripeto quello che ho scritto ieri: siccome l'allevamento intensivo, oltre a comportare una brutalità indicibile nei confronti degli animali, produce effetti catastrofici non soltanto su coloro che ne beneficiano mangiando la carne, ma anche su tutti gli altri (generazioni future comprese), credo che andrebbe vietato; e se ciò implica necessariamente la riduzione del consumo di carne cui alcuni individui sono abituati, occorrerà che quegli individui vi si rassegnino, giacché non trovo ragionevole che per consentire a Tizio e a Caio di mangiare una bistecca al giorno ci vada a rimettere Sempronio, che la carne non la mangia.
Se qualcuno ritiene che questo significhi essere proibizionisti, temo sia necessario metterci d'accordo sul significato delle parole.
Legalizzare la droga, proibire gli allevamenti intensivi
Non mangio carne da qualche mese, se si eccettuano le pochissime occasioni in cui mi capita a tiro qualcosa di allevato in modo tradizionale.
Non lo faccio perché l'allevamento intensivo, oltre ad essere mostruoso in relazione al trattamento che subiscono gli animali, non è minimamente sostenibile sul piano ambientale; e in più perché migliaia di studi scientifici dimostrano, al di là di ogni ragionevole dubbio, che consumare carne -e a maggior ragione quel tipo di carne- due o tre volte la settimana non solo non serve, ma è addirittura nocivo.
Così, invece di spendere cento euro al mese di carne comprandola tutti i giorni al supermercato, me li gioco in un colpo solo quando mi capita, mangiando carne biologica una volta ogni cinque o sei settimane.
Chi si comporta diversamente, ostinandosi a foraggiare gli allevamenti intensivi per ingozzarsi di fettine pressoché tutti i giorni, non danneggia solo se stesso, ma anche gli altri: perché contribuisce a distruggere l'ambiente in cui vivono, alimenta uno spreco insensato di risorse alimentari ed energetiche, favorisce la diffusione di malattie influenzali che finiscono per diffondersi e colpire indiscriminatamente tutta la popolazione.
Eppure, ad oggi, è assolutamente libero di farlo.
Sapete cosa? E' davvero curioso che i paesi occidentali se ne strafottano di tutelare la salute di questi divoratori di carne e -soprattutto- quella di chi li circonda e poi insistano a proibire la droga, che in un regime antiproibizionista farebbe del male solo a chi la consuma: è curioso, ridicolo e insensato.
Tanto da mettere in luce in che razza di sistema ipocrita ci tocchi campare e quante fregnacce ci vengano somministrate tutti i giorni.
Fosse per me, giacché la logica non è un'opinione, legalizzerei la droga e proibirei gli allevamenti intensivi.
Ne guadagnerebbe il concetto di onestà intellettuale, oltre che la salute di tutti.
Il tabù che penalizza i lavoratori
Diciamo le cose come stanno: il fatto che in Italia esistano -specie nell'impiego pubblico- un certo numero di fannulloni fatti e finiti è circostanza arcinota; così com'è ampiamente risaputo che i sindacati, nell'ambito della loro meritoria attività volta a tutelare i diritti dei lavoratori, finiscono spesso e volentieri per difendere anche loro.
Si tratta di una di quelle cose che tutti -spesso per conoscenza personale dei diretti interessati- sanno perfettamente, ma che per qualche motivo non si può dire: cioè, in estrema sintesi, di un tabù.
Il quale tabù, tra l'altro, genera il paradossale effetto di creare una sostanziale parità di trattamento tra quelli che lavorano e quelli che si girano i pollici, a tutto svantaggio dei primi che subiscono prima il danno di farsi il culo mentre gli altri poltriscono, e poi la beffa di non vedersi riconosciuto alcun merito, perché ufficialmente -e pure nella sostanza, leggi carriera, promozioni e via discorrendo- i fannulloni sono considerati tali e quali a loro.
A me, leggendo le parole della Marcegaglia -della quale peraltro, com'è noto, non sono mai stato un fan sfegatato-, è venuto in mente soprattutto questo: alla fine della fiera gli strepiti di quelli che si stracciano le vesti, al di là delle loro intenzioni, vanno a discapito dei -tanti- lavoratori seri che operano in questo paese.
Che facciamo, iniziamo a parlarne o vogliamo continuare a far finta di niente?
Il buffetto e l'accetta
Mi piacerebbe sapere se tutte le donne che si sono sentite offese nella loro dignità a causa dell'utilizzo -effettivamente maschilista, lo preciso a scanso di equivoci- del corpo femminile in televisione quando Belen ha mostrato un pezzetto di coscia -la sua- sul palco dell'Ariston si siano altrettanto infuriate nel 2004, allorché il parlamento del nostro paese approvò una norma che ficcava letteralmente le mani nelle loro -di tutte, nessuna esclusa- parti intime legiferando impunemente sulle loro ovaie, sul loro utero e sulla loro possibilità di riprodursi.
Perché se così non fosse -e purtroppo credo proprio che non sia così, perché altrimenti i referendum abrogativi di quella legge non solo avrebbero raggiunto il quorum, ma sarebbero stati un successo senza precedenti- se ne dovrebbe dedurre che alcune nostre connazionali si infuriano quando si dà loro un buffetto, e poi fanno come se niente fosse quando qualcuno le taglia a fette con l'accetta.
Il concetto vi sfugge
Già che ci siamo, visto che il dibattito ha preso una piega interessante, l'occasione mi è gradita per precisare come la penso.
Finché non arreca un danno agli altri -e il danno dev'essere oggettivo, dimostrabile e misurabile, non una mera opera di fantasia o una sensazione impalpabile- ciascuno dovrebbe essere libero di fare quello che gli pare e piace: bruciarsi il cervello con la droga -per carità, non ricominciamo con la solfa che chi si droga è pericoloso perché delinque, visto che con ogni evidenza ciò è dovuto al proibizionismo, non alla tossicodipendenza-, prostituirsi, avvalersi della prostituzione, mangiare fritti e dolci fino a diventare un pachiderma, ammazzarsi di pippe davanti ai film porno e via discorrendo.
Dopodiché, discutiamo pure sulla misura in cui gli eventuali costi di questi comportamenti debbano o non debbano gravare sulla collettività: ma senza che ciò implichi un giudizio sullo stile di vita degli altri, che ciascuno è certamente libero di formulare ma che nessuno dovrebbe permettersi di innalzare a legge.
Non volete pagare le tasse per curare chi si buca? Benissimo. Allora io non voglio pagarle per operare quello che si è rotto il ginocchio giocando a calcetto con gli amici e avrebbe dovuto starsene a casa perché era fuori allenamento. Perché per me, checché ne dicano i soliti benpensanti che pretendono di avere in tasca la verità, drogarsi e giocare a pallone sono attività che riguardano entrambe l'insindacabile sfera personale degli individui, e nessuno -dico nessuno- dovrebbe avere l'autorità per metterle in classifica come piace a lui e imporre quella classifica a tutti gli altri.
Piantatela, una buona volta, di fare gli illiberali travestiti da democratici: e andate a ripassarvi, se vi avanza un po' di tempo, cosa dovrebbe significare vivere in uno stato di diritto.
Perché a quanto pare il concetto vi sfugge.
Quando i numeri contano più delle chiacchiere
I numeri, grosso modo, sono questi: ogni anno in Italia muoiono una cosa come quasi centomila persone a causa del fumo, qualche decina di migliaia per ragioni riconducibili all'obesità, più o meno ventimila per colpa dell'alcool e alcune centinaia per droga.
La droga è proibita. I cibi grassi, le sigarette e gli alcolici no.
Prima di enunciare disinvoltamente teorie e ricette per il governo del paese bisognerebbe informarsi sui dati.
Il resto sono chiacchiere, e il vento se le porta.
Legalizzazione della droga for dummies
La questione, prima o poi, dovrà essere affrontata anche dalla politica: nel frattempo non mi pare inutile avvantaggiarsi, mettendo a fuoco un paio di punti sui quali si gioca troppo spesso a pescare nel torbido. Buona lettura.
La droga fa male, e quindi non deve essere liberalizzata.
Di fatto la droga è già libera, tant'è che chiunque, volendo, sa dove trovarla. Però è illegale. Il problema, casomai, non è liberalizzare le droghe, ma legalizzarle.
D'accordo, ma non è comunque etico che lo stato permetta la vendita di sostanze nocive alla salute.
Sarà, ma se il principio fosse davvero questo lo stato non dovrebbe permettere che vengano venduti l'alcool e le sigarette, che ogni anno mietono entrambi molte più vittime delle droghe: invece non solo lo consente, ma ci guadagna anche sopra.
Però legalizzare le droghe incoraggerebbe il loro consumo, e quindi i tossicodipendenti aumenterebbero.
Tanto per iniziare, questa è un'ipotesi non dimostrata: quello che è certo è che decenni di politiche proibizioniste non hanno fatto diminuire il numero dei consumatori di droga, il che vorrà pur dire qualcosa. Anche perché l'effetto della legalizzazione potrebbe addirittura essere quello di sottrarre al consumo di droga quell'alone di "proibito" da cui molti potrebbero essere attirati.
Va bene, ma come la mettiamo col fatto che i tossicodipendenti delinquono e sono un pericolo per la collettività?
La mettiamo che i tossicodipendenti non delinquono a causa della droga in sé, ma per colpa dell'illegalità in cui vivono: in un regime di legalità gli individui potrebbero comprare la droga a prezzi ragionevoli e senza venire in contatto con i delinquenti che la vendono clandestinamente. Ergo, non avrebbero alcuna ragione di diventare criminali.
Magari criminali no, ma inaffidabili sì.
Questo è un problema loro. Ciascuno, a prescindere dalla droga, è libero di essere più o meno affidabile, sopportando le relative conseguenze.
Ok, però la droga dà dipendenza.
Anche la nicotina, se è per questo. Anche l'alcool. Anche alcuni farmaci. Anche le slot machine che sono nei bar. Anche il lotto. Anche il sesso e il lavoro possono dare dipendenza. E' una buona ragione per vietarli?
Ma che c'entra, la droga è legata al mondo della criminalità...
Certo che lo è: perché lo stato gliel'ha regalata. Ha regalato alle mafie il business più redditizio che esista, lasciando che lo gestiscano come meglio credono, che fissino i prezzi in modo arbitrario che vendano merda alla gente senza colpo ferire. Legalizzare la droga, tra le altre cose, darebbe un colpo mortale alla criminalità organizzata, porterebbe un sacco di soldi nelle casse dello stato e garantirebbe a tutti uno standard di qualità del prodotto che adesso non esiste neanche nel mondo dei sogni.
Vabbe', ma legalizzare la droga sarebbe comunque un salto nel buio.
La verità è che le politiche proibizioniste vanno avanti da una vita e non hanno dato alcun risultato, se si eccettuano la di moltiplicazione dei delinquenti, il riempimento delle carceri e l'arricchimento delle mafie. Non è che il vero salto nel buio è ostinarsi a perseguirle?
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Quando lo stato è il peggiore dei criminali
Personalmente, trovo l'idea di vivere in un paese nel quale si tollera che i detenuti muoiano di freddo in carcere molto, ma molto meno rassicurante del fatto che i criminali vadano in giro liberamente per la strada: perché se doversi guardare da un delinquente è una prospettiva molto preoccupante, essere costretti a difendersi dallo stato è un vero e proprio incubo; e perché uno stato che assume atteggiamenti illegali così gravi non ha la minima autorità per chiedere il rispetto della legalità a nessuno dei propri cittadini.
Chi si illude che qualche carcerato morto per le condizioni indecenti in cui vive sia un prezzo accettabile in cambio della propria sicurezza commette un enorme errore di valutazione: quando si accetta che lo stato si comporti come i criminali che dovrebbe perseguire, in che razza di sicurezza si può confidare?
Quasi quasi mi compro la Torre degli Asinelli
Vediamo se ho capito: in cambio del contributo di 25 milioni di euro per il suo restauro, Della Valle potrà sfruttare il logo del Colosseo per i quindici anni successivi alla durata dei lavori.
Ciò equivale a dire, a meno che non mi sfugga qualcosa di essenziale, che uno dei simboli più conosciuti e riconoscibili al mondo è stato di fatto venduto a un privato per poco più di un milione e mezzo l'anno: il che dovrebbe comportare, a rigor di logica, che per poter sfruttare l'immagine di un monumento meno famoso dovrebbe essere sufficiente una manciata di euro.
La torre di Pisa, ad esempio, potrebbe costare sette o ottocentomila euro l'anno, Palazzo Vecchio a Firenze una cosa tipo trecentomila, mentre per il Maschio Angioino ce la si potrebbe cavare con un centinaio o giù di lì.
Quasi quasi mi informo sulla Torre degli Asinelli, perché sarebbe carino regalarla per vent'anni al prossimo amico che fa il compleanno.
Se le tariffe sono queste, c'è il caso che possa permettermelo risparmiando qualcosina sulle sigarette.
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Il Porcellum di Fraccazzo da Velletri
A Roma si usa spesso e volentieri la figura di "Fra' Cazzo da Velletri" (nella versione contratta "Fraccazzo da Velletri") per ricordare ironicamente a qualcuno le sue responsabilità, con particolare riferimento alle circostanze di cui egli si lamenta pur essendo in ultima analisi dovute alla sua stessa incuria.
A titolo meramente esemplificativo, se il proprio convivente si lagna del disordine che regna in casa, è assai appropriato indicare i libri che lui stesso ha ammonticchiato alla rinfusa qua e là chiedendogli contestualmente: "Ah, non riesci più a vivere in questo casino? E 'sti libri chi ce li ha messi qua, Fraccazzo da Velletri?".
La figura retorica di Fraccazzo da Velletri mi è tornata in mente proprio stamattina, mentre guardavo estasiato il grande banner che campeggia sul sito del Popolo della Libertà, con il quale i nostri amici azzurri sottolineano l'urgenza di restituire agli elettori il potere di scegliere chi li rappresenterà in parlamento, senza peraltro peritarsi di precisare che sono stati loro stessi, qualche anno fa, a sottrargliela mediante la legge n. 270 del 21 dicembre 2005, meglio nota alle cronache come "Porcellum".
Ebbene, io sono assai lieto che quelli del PdL abbiano deciso di rendere ai cittadini la loro libertà di scelta; non posso esimermi, tuttavia, dal porre loro una domandina facile facile: e chi gliela aveva tolta, Fraccazzo da Velletri?
Così, tanto per tenermi in esercizio col dialetto.
Progressisti una sega
L'Italia dei Valori ha annunciato che voterà contro il cosiddetto "decreto svuota-carceri", cioè contro il provvedimento che cerca di rimediare in qualche modo alla vergognosa situazione in cui sono costretti a vivere i detenuti italiani, nonostante la fiducia posta dal governo.
Ciò significa, se la politica non è diventata definitivamente una barzelletta, che quelli dell'IdV non ritengono una priorità l'esigenza di far cessare una situazione che nella maggior parte dei casi assomiglia molto da vicino alla tortura.
Devo ricordarmene, la prossima volta che qualcuno mi parlerà dell'improcrastinabile urgenza di mettere il paese nelle mani della "coalizione progressista".
La mia intervista a Gianluca Iannone
Ho intervistato Gianluca Iannone, leader di Casapound, bevendo una birra in un pub, e credo ne sia venuto fuori un quadro piuttosto interessante.
Per chi volesse leggerla, l'intervista è sul sito dell'Espresso: a chi invece continua a pensare che "certa gente non dovrebbe parlare" non ho granché da dire.
Se non che farsi un'idea -quale che essa sia- dopo aver ascoltato, per come la vedo io, è sempre meglio che censurare.
Saluti.
Noi glielo avevamo già chiesto
Faccio sommessamente notare agli amici della Repubblica che noi glielo avevamo già chiesto, agli italiani, se volevano abolire il finanziamento pubblico ai partiti.
Con un referendum, non con un sondaggio.
E loro avevano pure risposto di sì.
Poi, per qualche oscuro (sic) motivo, tutti se ne sono strafregrati alla grande e hanno dimenticato la faccenda.
Compresi quelli che oggi presentano la questione come se l'avessero scoperta l'altroieri.
Memoria corta, legalità a singhiozzo e abuso della parola "popolo", evidentemente, sono malanni che si annidano anche tra quelli a cui piace da morire denunciarli sventolando a bella posta la bandiera dell'indignazione.
Sai le seghe?
Caro Silvio, se tutti gli italiani fossero gay e tu non ci avessi un euro, sai le seghe?(Elena Trimarchi su Facebook)
A forza di criminalizzare la "movida"
Sarà, ma a me pare che a forza di criminalizzare la cosiddetta "movida" Roma stia diventando una città fantasma, nella quale è diventato praticamente impossibile mangiare un piatto di pasta dopo la mezzanotte o bersi una birra dopo le due: il che, se da un lato soddisfa la voglia di riposo degli ormai proverbiali "residenti" (by the way, quanti di loro sono là da sempre e quindi la "movida" se la sono ritrovata loro malgrado, e quanti invece sono consapevolmente andati ad abitare nelle zone più "in" del centro sapendo a cosa andavano incontro, e solo dopo hanno iniziato a blaterare che vogliono dormire?), dall'altro genera enormi problemi di sicurezza, giacché è noto a tutti che una strada vuota è più pericolosa di un'altra che è piena zeppa di gente.
Avanti di questo passo andrà a finire che Roma, la capitale di questo bizzarro paese, diventerà una specie di deserto, che dover andare da qualche parte la sera significherà ritrovarsi soli in balia dei delinquenti (gli unici che avranno qualche motivo ragionevole per uscire di casa), e che tutti dormiremo sonni beati in uno splendido silenzio che ricorderà assai da vicino quello di un grande cimitero.
A me, che pure alle "movide" non partecipo quasi mai, e che di notte ho bisogno di dormire come gli altri perché di giorno lavoro, pare una prospettiva agghiacciante.
Martone, la Cancellieri e il soldato Rossi
Mettiamo che io voglia dire una cosa importante. Mettiamo che quella cosa abbia un fondamento di verità, o sia addirittura giusta, ma che contenga degli elementi un tantino sgradevoli, sfavorevoli, difficili da accettare per quelli che la ascoltano.
Ebbene, siccome quella cosa è importante, è evidente che terrò molto al fatto che le persone a cui la sto dicendo superino l'iniziale sensazione di disagio e arrivino a coglierne il senso: ragion per cui, mi sforzerò di utilizzare un linguaggio quanto più possibile rassicurante, e soprattutto eviterò di usare delle formule che possano suonare come denigratorie o irrisorie nei confronti dei miei interlocutori.
A quanto pare i membri del nostro governo ritengono importante, probabilmente a ragione, comunicare al paese che a volte i ragazzi italiani stazionano troppo a lungo nelle università, che il mercato del lavoro sta inevitabilmente cambiando e che a volte bisogna saper rischiare un po' di più per ottenere una maggiore soddisfazione dalla propria carriera professionale.
Stranamente, però, nel comunicare questi concetti -che con ogni evidenza contengono degli elementi potenzialmente difficili da digerire per chi si trova a doverli ascoltare- si guardano bene dall'adoperare la cautela che sarebbe necessaria: al contrario, finiscono spesso e volentieri per metterci sopra un bel carico, aggiungendo alle loro esternazioni delle frasette piccanti che sembrano fatte apposta per far incazzare i destinatari dei loro pareri.
Per dire che alcuni ragazzi dovrebbero riflettere sul troppo tempo trascorso all'università, ad esempio, non c'è alcun bisogno di aggiungere che quei ragazzi sono degli "sfigati"; così come per affermare che ci si deve rendere disponibili ad una maggiore mobilità per trovare un posto di lavoro non occorre affatto fare riferimento all'immagine beffarda di "mamma e papà".
Ripeto: probabilmente si tratta di concetti condivisibili. Ma a mio parere esprimerli senza sapersi trattenere dalla smania di ficcarci dentro quella sottile nota irridente non denota grande responsabilità, perché indispone inevitabilmente chi ascolta e finisce per rendere il proprio intervento non più un utile appello, ma un vero e proprio atto di vanità fine a se stesso.
Per comunicare al soldato Rossi che gli è morta la mamma, insomma, non occorre schierare il battaglione nel piazzale, ordinare a chi ha entrambi i genitori di fare un passo avanti e aspettare il malcapitato al varco gridandogli contro "Soldato Rossi, che cazzo fai?".
Credo sia meglio dirglielo con un minimo di delicatezza in più, o sbaglio?
Grandi temi
Meraviglia, piuttosto, il fatto che a simili rivelazioni, senz'altro meritevoli di un titolo a nove colonne in homepage, non venga riservato che un misero trafiletto nella "Diretta".
Lo dico sempre, io, che i giornali italiani hanno troppa paura di sviscerare i grandi temi come dovrebbero.
E voi vi lamentate del sale?
In Italia, lo sanno tutti, a fare qualcosa di cattolico non si sbaglia mai. Sei un politico in difficoltà? Inventa un'iniziativa qualsiasi su Padre Pio, madre Teresa di Calcutta, al limite santa Maria Goretti, e vedrai che qualcuno ti dà una pacca sulla spalla, ti regala un bell'elogio pubblico e ti tira fuori dalla merda.
Questo nella normalità. Poi ci sono i casi anomali. Tipo Alemanno, tanto per fare un esempio. Quello che è riuscito a farsi parlare dietro perfino quando ha piazzato in mezzo alla stazione Termini una statua di Wojtyla. Wojtyla, dico, mica uno qualunque. Roba da andare sul velluto, e invece pure quella volta sono girati i coglioni a tutti quanti, atei e devoti. Che non sarà facile metterli d'accordo, non discuto, ma forse è è ancora più difficile riuscire nell'impresa di farli incazzare all'unisono.
Ecco, a Roma abbiamo un sindaco che è riuscito a fare casino pure con una statua del papa "santosubito", e poi ci meravigliamo del fatto che venerdì, quando nevicava già da due ore, si sia attaccato al telefono per cercare 50 tonnellate sale.
Io, viste le premesse, mi sento già confortato dal fatto che non abbia cercato di spargere per strada dello zucchero.
Magari a velo, che fa più chic.
Quello che Alemanno dovrebbe imparare
La neve, naturalmente, non rientra tra le attività programmabili da una giunta comunale; ma se ci si desse da fare e si inventasse qualche motivo in più per far uscire la gente di casa, invece di sfornare ordinanze a raffica per convincerla a restarci chiusa dentro, questa diventerebbe una città molto diversa: più vivibile, più felice, più sicura.
Ci vuole tanto, a capirlo?
Generatore automatico di attività monotone
Che volete, mi ha tirato per la giacchetta: fare refresh per ottenere una nuova attività monotona
C'è di peggio
Così, tanto per ribadire che il peggio non è mai morto.
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