Gentilissimo Don Alessandro,
m’era presa la smania bizzarra di votare alle primarie del Partito Democratico. Poi c’ho frettolosamente ripensato per ovvie ragioni. La candidata ideale c’era. Parla impeccabilmente alcune lingue (comprese anche quelle del Vicino Oriente), ha uso di mondo, è affascinante, si muove fra Parigi, Madrid e Roma. E’ troppo di tutto. Troppo magra, troppo nota, troppo eclettica, troppo esposta, troppo fragile, troppo elitaria. Come me ama i fiori bianchi, vive nel ghetto, passeggia per Roma alle cinque e mezzo del mattino, ama lo champagne, e si nutre a stento di the, salmone, yogurt, liquirizie, frutta, biscotti. E’ coraggiosa, quindi ha paura delle piccole cose della vita. Ha paura della solitudine, dell’abbandono, della delusione, dell’amore. E’ minimalista. Non nel senso che ama i romanzieri che creano psicologie minime. Neppure nel senso dei designer filo-nipponici o filo- svedesi. E’ minimalista nel senso che non ha bisogno di fronzoli, le bastano due righe, le bastano una giacca di Armani e un paio di Tod’s. le bastano quattro parole in tutto per rendere l’idea. E’ colta. Ha dichiarato che ci sono cose che lei riesce a dire solo in francese perché in italiano non le suonano bene. Se ne frega. Se ne frega del lettore medio, di quelli che equivocano e che la pensano al riparo dai dolori, dai dubbi, dalle paure, dalle incertezze. E’ solida abbastanza da sopravvivere alla sua stessa inquietudine, in fondo l’inquietudine è sempre stata fonte d’ispirazione. Prenderebbe il posto di Alberto Moravia a Strasburgo senza l’ossessione dell’atomica. Potrebbe essere la candidata ideale di Massimo D’Alema se amasse le barche e le cene da Vissani. E’ meno danubiana di Claudio Magris, è piuttosto desertica lei (e forse è anche candidata ideale di Giuliano Amato). E’ donna Carmen
Cordialità.
Donna Martina de’ Monti Parioli.