E se tu la credevi vendetta, il fosforo di guardia segnalava la tua urgenza di potere, mentre ti emozionavi nel ruolo più eccitante della legge, quello che non protegge: la parte del boia.Era il 1973 quando Fabrizio De André cantava questi versi in una canzone dell’album "Storia di un impiegato": da allora sono passati quasi quarant’anni, ma l’inclinazione ad esercitare il "ruolo più eccitante della legge", specie da parte di chi la legge dovrebbe farla rispettare, non sembra essere passata di moda.
Storie che una volta consumate fanno una gran fatica a venire a galla, e nei pochi casi in cui emergono hanno la spiacevole tendenza a rimanere ammantate da un bel drappo nero di silenzio e di omertà: Aldo Bianzino, Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi sono soltanto i più noti (o i meno silenziati, fate voi) nomi di una lista che a voler essere puntigliosi (e in uno stato di diritto, per la verità, bisognerebbe esserlo) sarebbe assai più lunga ed inquietante.
L’ultimo di quella lista si chiamava Giuseppe Uva ed è morto nel reparto psichiatrico del pronto soccorso di Varese, dopo una notte passata nella caserma dei Carabinieri che lo avevano fermato per stato di ebbrezza, a causa di un arresto cardiaco provocato dalla combinazione tra l’alcool che aveva in corpo e i farmaci somministratigli dai medici per tenerlo buono. Apparentemente una fatalità: un fermato che fa il matto e dà in escandescenze, costringendo i carabinieri che non sanno come gestirlo ad affidarlo alle cure dei medici; i quali, sventuratamente, gli prescrivono dei sedativi che provocano il disastro.
Sta di fatto, però, che il cadavere di Uva era pieno di lividi sul naso, sul collo, sulla schiena, che il cavallo dei suoi pantaloni era inzuppato di sangue, che qualcuno gli aveva tolto le mutande e le aveva fatte sparire; circostanze che risultano dalla testimonianza del poliziotto di turno all’ospedale di Varese, mica dalle congetture dei soliti complottisti.
Sta di fatto, poi, che i carabinieri avevano arrestato Giuseppe insieme ad un amico, il quale durante la notte aveva sentito urla spaventose provenire da un’altra stanza della caserma e aveva provato inutilmente a chiamare un’ambulanza.
Sta di fatto, infine, che come nei casi di Cucchi, di Bianzino e di Aldrovandi i primi accertamenti sul cadavere, a rivederli oggi, sembrerebbero essere stati effettuati in modo sbrigativo e con una certa superficialità, quasi a voler archiviare rapidamente il caso come una delle tante disgrazie che accadono quotidianamente nelle caserme e nelle carceri italiane.
Omertà e silenzio, si diceva. L’omertà e il silenzio che probabilmente, come in altri casi, finiscono per essere alimentati non tanto (o non soltanto) dalla mano di chi commette abusi degni della più feroce dittatura, ma anche (e soprattutto) dalla massa inerte di un sistema burocratico e corporativo che si trasforma automaticamente in omissione, complicità, favoreggiamento: silenzi vicendevolmente scambiati e sostegni reciprocamente forniti nella mutualità perversa di una macchina ottusa e inarrestabile, che ingoia i diritti dei cittadini e la verità pur di continuare ad autoalimentarsi, a sopravvivere; in una parola, ad esistere.
Ci avrebbe creduto, Fabrizio De André, se quarant’anni fa gli avessero detto che "il ruolo più eccitante della legge" sarebbe diventato questo?
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Scritto per Libertiamo.
beh l'argentina degl'anni 70 non e cosi lontana. Vi consiglio olimpo garage. si salvi chi può
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