Ombre anche sul carcere di Pavia




Mbarka, 42enne immigrato a Milano, stava per finire di scontare una pena per droga quando gli fu notificata una sentenza di condanna in appello a otto anni e sei mesi per violenza sessuale, sequestro di persona e violenza privata. Ad accusarlo era una sua ex amante marocchina: lui l'avrebbe sequestrata e violentata per cinque giorni, nell'aprile 2003, quando lei era già in attesa di un figlio concepito proprio con Mbarka. Il tunisino, però, si proclamava innocente. E dal 16 luglio decise di non mandare giù neanche un goccio d'acqua. Da questo momento i tentativi dell'avvocato di salvare la vita al suo assistito si scontrano, nel pieno dell'estate, con i tempi della giustizia e dell'istituzione penitenziaria.
Il 23 luglio l'avvocato scrive al detenuto per farlo desistere dallo sciopero e trasmette una copia della lettera, dai toni accorati, alla direttrice del carcere. La risposta arriva l'8 agosto ed è rassicurante: "Le condizioni del suo assistito sono costantemente monitorate dal personale medico qui in servizio".
L'avvocato Egidi tenta anche (il 29 luglio) la carta della corte d'Appello: disponga d'urgenza una consulenza tecnica "circa le attuali condizioni di salute del detenuto e circa la possibilità che esse possano degenerare in maniera irreversibile" e gli dia i domiciliari.
L'11 agosto, il legale, dopo aver visitato il tunisino, torna alla carica con la direttrice e le comunica che Mbarka è pronto a darsi fuoco. Ma il 25 Alecci, il direttore sanitario, assicura in una relazione che il detenuto, sottoposto a un colloquio medico per valutare la necessità di un trattamento sanitario obbligatorio, si è dimostrato, "fino ad oggi, in condizioni di intendere e di volere": niente Tso.
Intanto, però, Mbarka ha già perso ventuno chili e "deambula cercando sostegno".
È ridotto a uno straccio e potrebbe aggravarsi, scrive il medico, ma dovrebbe essere trasferito altrove: a Pavia "in questo periodo sono assenti lo specialista cardiologo e lo psichiatra". Lui, aiutato dai compagni di cella, annuncia alla sua fidanzata: "Io sto muorendo. Sono dimagrito troppo, credimi, non riesco neanche ad alzarmi dal letto".
In poche parole, o si decide di fornire assistenza completa e in tutti i periodi dell'anno, oppure possiamo tranquillamente chiudere gli istituti di detenzione durante il periodo estivo e tutti in ferie.

Questo post è stato pubblicato il 15 novembre 2009 in ,. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. o se vuoi lasciare un commnento.

6 Responses to “Ombre anche sul carcere di Pavia”

  1. (la frase da "è ridotto a uno straccio" fino a "sostegno" è ripetuta due volte)

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  2. Non bisogna far diventare degli eroi coloro che muoiono in carcere dopo una vita sregolata con la droga sempre in tasca! I poliziotti avranno pure sbagliato ma vanno anche capiti visto che loro fanno una vita onesta, lavorano, faticano e rischiano la vita tutti i giorni mentre certi debosciati si drogano e spacciano droga! Voce di popolo

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  3. Ma per voi quello li che è morto per caso è un martire? Voce di popolo

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  4. E poi bisogna pure vederci chiaro, magari quello li lo hanno dovuto picchiare perchè si è messo ad offendere o a deridere i poliziotti, magari li ha offesi di brutto con parolacce irriferibili o magari ha cominciato lui per primo ad aggredire un poliziotto che lo stava interrogando e questo ha fatto perdere la calma ai poliziotti.

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  5. Agli anonimi, o all'anonimo dei tre post precedenti:
    questo detenuto non è un eroe, ma neppure è morto per caso e come troppi altri è una vittima del sistema carcerario italiano, di cui sono responsabili non indagati persone con nomi e cognomi a tutti noti.

    Il terzo commento, oltre a essere OT rispetto al caso, è di abissale idiozia.

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