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Steve, Piergiorgio, Stefano, Federico

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Ci mancherebbe, non è che non sia d'accordo con l'idea di celebrare in pompa magna la scomparsa di Steve Jobs, che nel giro di qualche decennio ha davvero rivoluzionato il pianeta; però, ecco, mi piacerebbe vivere in un posto nel quale i giornali online dedichino un po' di spazio in più, e magari pure i messaggi dei lettori che scorrono in homepage per qualche ora, quando muore uno come Piergiorgio Welby, o Stefano Cucchi, o Federico Aldrovandi, tanto per fare tre esempi.
Perché sono convinto che se si parlasse come si deve di quelle morti si potrebbe cambiare non certo il mondo, per carità: ma forse l'Italia, un pochino, sì.

22 settembre

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Il 22 ottobre, mi segnalano, non il 22 settembre. E naturalmente hanno ragione. Lascio qua così com'è il post, ché non è mia abitudine nascondermi quando sbaglio. Il contenuto, va da sé, non cambia di una virgola, fatta eccezione per la tirata d'orecchi ai giornali, che oggi non avevano alcun anniversario da commemorare. Credetemi, ci penso -e ne parlo- da ieri sera, ed ero tanto convinto che fosse così che non ho controllato. Scusatemi.
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Due anni fa un uomo affidato ai carabinieri e ai medici del servizio pubblico moriva ridotto così.
Evidentemente si tratta di una vicenda marginale, perché i giornali non se ne ricordano neanche per uno straccio di commemorazione buttata là tanto per buttarcela.
A me, invece, sembra uno dei fatti più dolorosamente significativi degli ultimi anni, secondo per importanza soltanto alla disinvoltura con cui molti -troppi- sembrano volersene dimenticare.
Sta di fatto, però, che senza memoria non può esistere lo stato di diritto, né tantomeno il senso di umanità che ne è il presupposto.
Ecco, per quel poco che vale da queste parti quella memoria è ancora viva: più viva, se possibile, di due anni fa.
Tutto qua.

Quanto poco continua a contare

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Caro Presidente, noi non comprendiamo ma siamo ben consapevoli di quanto poco ciò conta così come quanto poco è contata per la umana Giustizia Italiana la vita di Stefano Cucchi. E quanto poco continua a contare. Ognuno di noi esseri umani coltiva un piccolo o grande sogno. Il mio è quello di essere smentita.
(dalla lettera di Ilaria Cucchi a Giorgio Napolitano)

Il numero che fa la differenza

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Un post drammaticamente splendido come questo poteva scriverlo solo Malvino.

79 - 30 = 49

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Si chiamava Simone La Penna ed era stato arrestato per detenzione di stupefacenti.
Il 26 novembre 2009 è morto in carcere, dopo aver perso 30 chili ed aver chiesto inutilmente di essere curato.
Per la sua morte sono indagati sette fra medici e infermieri.
La sensazione, per nulla rassicurante, è che si tratti di un nuovo caso Cucchi.
Ci sarebbe da chiedersi quante vicende come questa succedano, nel nostro paese, senza che se ne sappia nulla.

Grazie a Daniela per la segnalazione.

No, che non è uguale per tutti

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In aula ci sentiamo noi gli accusati, forse la giustizia non è uguale per tutti.
Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, a un anno dalla sua morte.

sTATO DI dIRITTO

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Nella solita e reiterata arroganza di un civile e democratico "stato di diritto", l'unico mezzo per diffondere la verità e azionare le menti è la memoria storica.
Se questo paese avesse un briciolo di memoria storica certe cose non potrebbero continuare a succedere. In uno "stato di diritto" non ti dicono che Cucchi era un tossico. In uno "stato di diritto" non ti dicono che è stato uno sparo deviato. In uno "stato di diritto" non ti dicono che Aldrovandi era troppo ubriaco. In uno "stato di diritto" non ti dicono che Spoletini è inciampato, che Giuliani tirava una bomba, che Paolo Di Brescia era troppo agitato, che Rasman... che Bianzino... avanti il prossimo, che potrebbe essere ognuno di noi in questo "stato di diritto".
Un anno fa moriva Stefano Cucchi; in questi giorni leggo di un dolore che continua ad essere calpestato e umiliato da chi strumentalizza la lotta disperata per la ricerca di verità e giustizia di un fratello, di un figlio; è repressione, violenta, di corpi prima, di ciò che lasciano dopo.
La famiglia Aldrovandi riceve due milioni di euro come risarcimento, in cambio lo stato chiede alla famiglia di non costituirsi parte civile nei procedimenti ancora aperti: quanto vale la vita di un figlio?
Non ho una risposta, non ho una risposta a una domanda che mai avremmo dovuto porci.
La sentenza di primo grado condanna Luigi Spaccarotella a sei anni di carcere per omicidio colposo: ha allargato le gambe, ha sparato a braccia distese, ha mirato verso l'auto in cui viaggiava Gabriele e ha fatto fuoco; da li a poco Gabriele moriva, sotto gli occhi inermi e disperati dei suoi amici, di un mio amico che gli era seduto accanto; il sangue di Gabriele schizzatogli addosso dopo lo sparo è ancora sul suo corpo, lo vede tutte le volte che si guarda allo specchio, lo sente, tutte le volte che si tocca.
Non è per vendetta, è per giustizia, G I U S T I Z I A, che senso ha la parola giustizia nel nostro "stato di diritto"? Che valore ha? Ne ha? Come fa ad averne mentre i pastori vengono caricati e manganellati in sardegna, gli studenti a Milano, gli aquilani a Roma?
A Terzigno gente perbene che protesta per difendere la propria salute, il proprio territorio, il futuro dei propri figli è assediata e caricata; è la verità che si manifesta con ferocia, è la violenza la modalità per controllare il dissenso, violenza che non risparmia nessuno, cieca e incontrollata contro tutti, contro una donna incinta, anche, e giornalisti.
Ho paura di chi indossa una divisa e rappresenta lo "stato", l'istituzione. Ho paura di questo "stato", di queste istituzioni.
Agenti hanno ucciso, altri continuano a farlo e questo "stato di diritto" glielo consente con una sconcertante impunità; violenza incontrollata da chi la aziona ma controllata, decisa, stabilita, ordinata.

Eccolo, il motivo

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State a sentire cosa scrive Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, a Gianfranco Fini:

Caro Presidente, non finiremo mai di ringraziarla: il suo sostegno è stato di grande aiuto per la nostra faticosa e dolorosa ricerca di verità e giustizia per la morte di Stefano. Ma se non avesse visto quelle terribili foto di Stefano che hanno tolto il fiato alle coscienze di tutti, non avrebbe potuto mai comprendere le condizioni terribili in cui ha lasciato la vita. 'Morte naturale'! Non avrebbe potuto percepire la profonda falsità e ipocrisia della verità ufficiale.
Siamo cattolici e osservanti di fede, di idee moderate vicine al centrodestra. Ma non comprendiamo perché debba essere impedito, al cittadino che subisce un sopruso così grande dal potere dell'Autorità, di denunciarlo ed anche di provarlo registrandolo dal vivo, quando altrimenti mai sarebbe ascoltato, o peggio creduto. Confidiamo in lei affinché ciò che è stato consentito fare a noi non venga impedito ad altri. Francamente, non ne comprendiamo proprio il motivo.
Ammesso che fino ad oggi sia stato facile (e noi sappiamo bene che non lo è stato affatto), dopo l'approvazione del ddl intercettazioni sarà ancora più difficile (per non dire impossibile) che vicende come quella di Stefano Cucchi vengano alla luce, e le uniche verità che potranno emergere saranno quelle non sgradite al regime: le verità ufficiali, false e ipocrite, di cui parla Ilaria.
Come motivo mi pare più che sufficiente, o sbaglio?

Il destino di Stefano e l'attenuante di stato

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Scarcerato Stefano Gullotta, il ragazzo massacrato di botte da un poliziotto e sbattuto in carcere dopo Roma-Inter. Elio Vito:

[Risultano a suo carico] denunce e segnalazioni per rapina, lesioni personali e guida in stato di alterazione psicofisca per sostanze stupefacenti.
Ucciso Stefano Cucchi dopo un pestaggio in carcere e abbandono in ospedale. Carlo Giovanardi:
Era in carcere perché era uno spacciatore abituale. La verità verrà fuori, e si capirà che è morto soprattutto perché era di 42 chili.
Ecco a voi due esempi di attenuanti di stato: se uno ha la fedina penale da lucidare, si merita pure le botte.
Badate bene: dalle stesse istituzioni che dovrebbero proteggerne l'incolumità, si intende.

Macché ammazzato, solo pestato e abbandonato

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La notizia di oggi è che nessuno è stato accusato di omicidio (né volontario, né preterintenzionale e neanche colposo) per la morte di Stefano Cucchi: quindi, a rigor di logica, bisogna dedurne che il ragazzo non è stato ammazzato.
D'altra parte le accuse formulate ipotizzano soltanto che sia stato pestato a sangue dalle guardie e poi abbandonato dai medici che avrebbero dovuto curarlo, finché non ci ha lasciato le penne.
C'è una differenza abissale, no?

Ammazzato di botte e rianimato per finta

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Ignazio Marino, presidente della Commissione parlamentare che ha indagato sul caso Cucchi:

Si tratta di qualcosa di drammatico, il fatto che Cucchi ha subito dei traumi senza i quali non si sarebbe in qualche modo avviata la sequenza di eventi che ha determinato il ricovero, il suo rifiutare cibo e acqua, e il determinarsi di quella condizione clinica che ha portato al decesso.
Dagli atti della Commissione:

Quando è stato soccorso, «intorno alle 6:05 del 22 ottobre», Stefano Cucchi mostrava «una rigidità dei muscoli del collo e una incipiente rigidità dell'articolazione temporo-mandibolare», segni «di un incipiente rigor mortis» che «secondo l'esperienza comune, si manifestano nel corso di due o tre ore rispetto al momento in cui il soggetto è morto. Pertanto pensiamo che il paziente fu rianimato per precauzione e non perchè ancora vivo e che probabilmente la sua morte si deve a due o tre ore prima» e «probabilmente anche il medico che amministrava queste misure sapeva già che il paziente era morto e da tempo».
In estrema sintesi: prima pestato a sangue, poi rianimato per finta quando i medici sapevano già che era morto.
Abbiate pazienza, mi viene da vomitare.

Roma sicura

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Dal Corriere di oggi:

Nel corso dei servizi pianificati nell'ambito del "Patto per Roma Sicura" gli agenti della polizia di Stato lungo via Salaria, via dei Prati Fiscali, viale P. Togliatti, via Prenestina, viale Marconi e via Tiburtina hanno identificato 55 prostitute (romene e bulgare) tutte multate; 35 sono state accompagnate presso l'Ufficio Immigrazione per accertamenti; multati 4 clienti.
Ottimo, 'sto "Patto per Roma Sicura".
Se poi, oltre ad arrestare le prostitute e a multare i clienti, riuscisse pure a proteggere i cittadini che vengono ammazzati di botte dopo essere stati arrestati, sarebbe perfetto.

Giuseppe Uva: ecco i dettagli dell'ennesimo "caso Cucchi"

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Ricevo da Luigi Manconi e volentieri (si usa dire così, ma in questo caso è un eufemismo) pubblico.

Alle ore 11:10 del 14 giugno 2008 (attenzione alla data), Giuseppe Uva, 43 anni, gruista, muore nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Circolo di Varese. Intorno alle 3:00 di quella stessa notte Uva e l’amico Alberto Biggiogero erano stati fermati in stato di ebbrezza da una pattuglia dei carabinieri. Portati nella caserma di via Saffi, erano stati separati e Biggiogero, dalla sala di aspetto, aveva potuto ascoltare per ore le grida strazianti dell’amico. Intorno alle 6.00, poi, Uva era stato ricoverato nel pronto soccorso dell’ospedale: da qui, trasferito in psichiatria e sottoposto al trattamento sanitario obbligatorio e alla somministrazione di farmaci incompatibili con il suo stato etilico. Da qui la morte. Questi i fatti essenziali (tutte le circostanze e le testimonianze si trovano nel sito innocentievasioni.net).
Per quasi due anni le indagini sono state completamente ferme. Dopo che l’opinione pubblica e i familiari di Uva hanno sollevato con forza il caso, ecco la prima iniziativa della Procura: ieri un giornalista della Prealpina e uno della Provincia di Varese sono stati sentiti da un Pm per "sommarie informazioni testimoniali" (evidentemente i loro articoli non sono stati apprezzati in Procura). Ma non è stato ancora mai ascoltato il principale testimone, Biggiogero. Si spera che accadrà presto, così come ci si augurano nuove indagini e nuovi rilievi autoptici, per rispondere ai molti quesiti rimasti elusi. Questi i principali:

  1. esisteva un rapporto pregresso tra Uva e un appartenente alle forze dell’ordine? Testimonianze delle ultimissime ore parlano di una relazione tra Uva e la moglie di un carabiniere: e questo spiegherebbe il risentimento personale che determinò l’accanimento persecutorio di quella tragica notte;
  2. come mai l’autopsia sul corpo di Uva non ha contemplato gli esami radiologici necessari a individuare eventuali fratture?
  3. Perché non sono state considerate le dichiarazioni del comandante del posto di polizia presso l’ospedale? Quest’ultimo ha scritto che la morte di Uva non sarebbe "un evento non traumatico"; che è rilevabile "una vistosa ecchimosi rosso-bluastra" sul naso e che "le ecchimosi proseguivano su tutta la parete dorsale"; che il corpo di Uva risultava privo degli slip e che sui suoi pantaloni "si evidenzia tra il cavallo e la zona anale una macchia di liquido rossastro". Fatto confermato dalla testimonianza della sorella che afferma di aver visto "tracce di sangue dall'ano".
Siamo in presenza, come si vede, di un altro (l’ennesimo?) "caso Cucchi". Balzano agli occhi le analogie.
La prima: Uva e Cucchi subiscono violenze mentre si trovano nella disponibilità di apparati statuali, che hanno come primo dovere istituzionale quello di garantire l'incolumità di chi si trovi sotto il loro controllo (è questo che fonda la legittimità giurido-morale dello Stato).
Ancora: Uva e Cucchi, a seguito delle violenze subite, vengono ricoverati in una struttura sanitaria pubblica. Qui trovano la morte a causa di precise responsabilità del personale medico.
Infine: nel caso di Cucchi e di Uva (ma anche in quello di Marcello Lonzi e Giovanni Lorusso e di molti altri ancora), a rompere il muro del silenzio è una figura femminile, madre o sorella della vittima che trova in sé la forza, disperata e intelligente, per fare del proprio dolore più intimo un’occasione di denuncia pubblica.
Lunedì scorso, il procuratore capo di Varese, Maurizio Grigo, ha convocato una conferenza stampa per affermare che "il 30 settembre 2009, la Dott.ssa Sara Arduini ha aperto un nuovo procedimento proprio per verificare le nuove accuse della famiglia e le dichiarazioni rese dal Sig. Biggiogero". In altri termini ha ammesso candidamente qualcosa di enorme: la testimonianza, dettagliata e puntualissima, resa da Biggiogero il 15 giugno 2008 ha indotto il magistrato ad aprire un fascicolo contro ignoti il 30 settembre 2009. Ovvero a distanza di oltre 15 mesi dall’evento. E a distanza di quasi 6 mesi dall’apertura di quel fascicolo, come si è detto, quel testimone prezioso ancora non è stato ascoltato. Così come non sono stati ancora interrogati i carabinieri e i poliziotti presenti in caserma quella notte.
Come dire: i tempi della giustizia.

Il ruolo più eccitante della legge (*)

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E se tu la credevi vendetta, il fosforo di guardia segnalava la tua urgenza di potere, mentre ti emozionavi nel ruolo più eccitante della legge, quello che non protegge: la parte del boia.
Era il 1973 quando Fabrizio De André cantava questi versi in una canzone dell’album "Storia di un impiegato": da allora sono passati quasi quarant’anni, ma l’inclinazione ad esercitare il "ruolo più eccitante della legge", specie da parte di chi la legge dovrebbe farla rispettare, non sembra essere passata di moda.

Storie che una volta consumate fanno una gran fatica a venire a galla, e nei pochi casi in cui emergono hanno la spiacevole tendenza a rimanere ammantate da un bel drappo nero di silenzio e di omertà: Aldo Bianzino, Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi sono soltanto i più noti (o i meno silenziati, fate voi) nomi di una lista che a voler essere puntigliosi (e in uno stato di diritto, per la verità, bisognerebbe esserlo) sarebbe assai più lunga ed inquietante.

Praticamente stanno massacrando un ragazzo

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Si chiamava Giuseppe Uva. E' morto nel reparto psichiatrico del pronto soccorso di Varese, dopo una notte passata nella caserma dei Carabinieri che lo avevano fermato per stato di ebbrezza, a causa di un arresto cardiaco provocato dalla combinazione tra l'alcool che aveva in corpo e i farmaci somministratigli dai medici per tenerlo buono. Il cadavere era pieno di lividi sul naso, sul collo, sulla schiena. Aveva il cavallo dei pantaloni inzuppato di sangue. Qualcuno gli aveva tolto le mutande e le aveva fatte sparire. Durante la notte l'amico che era stato fermato con lui, sentendo le urla da un'altra stanza della caserma, aveva provato inutilmente a chiamare un'ambulanza.
E' una storia di ventuno mesi fa. La storia di un altro dei tanti, troppi Stefano Cucchi a cui capita di subire barbarie intollerabili in uno stato di diritto.
Una storia di cui mi auguro che qualcuno, e presto, verrà chiamato a rispondere.

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Grazie a Grazia per la segnalazione.

Com'è che adesso non sento gridare "assassini"?

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quagliariello
Che strano: se un malato sceglie liberamente di non volere l'idratazione, e qualche povero cristo fa il possibile per cercare di assecondare la sua volontà, si fanno le sedute notturne al Senato per impedirglielo e si grida all'omicidio; se invece un detenuto è costretto a smettere di bere per far sapere al mondo che i tutori della legge l'hanno massacrato di botte, e nell'indifferenza generale finisce per lasciarci le penne, non solo nessuno si degna di fare un fiato, ma per stabilire la verità ci vuole addirittura un'indagine.
Ecco, questo è il paese in cui viviamo.

Sei giorni prima

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Se fosse vero, vorrebbe dire che Stefano Cucchi è stato ammazzato due volte: prima dalle botte, e poi dall'indifferenza di chi se ne è strafregato di ascoltare la sua voce mentre avrebbe potuto salvarlo.

Date retta: tiratela fuori, 'sta verità, e vedete di tirarla fuori tutta.

Adesso più che mai, non avete scuse.

Che sbadato, mi era sfuggito

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Ricapitoliamo, che ne dite?

  1. All'inizio hanno detto che Stefano Cucchi era caduto dalle scale;
  2. in un secondo momento hanno guardato meglio e hanno trovato anche gli ematomi e la frattura alle vertebre;
  3. poi hanno dato un'altra occhiata e hanno riscontrato pure le bruciature di sigaretta;
  4. infine (sperando che sia l'ultima versione) hanno fatto un altro controllo e sono venute fuori nuove lesioni al cranio e alla mandibola.

Non so cosa ne pensiate voi, ma a me pare che abbiano la tendenza a farsi sfuggire qualche particolare di troppo.

Sadismo preterintenzionale

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Ogni notizia è più orribile della precedente, e ho tanta paura che non siamo ancora arrivati alla fine.

Se quelli sono davvero segni di sigaretta, significa che si è trattato di tortura bella e buona, con l'aggravante che Stefano non aveva nemmeno la possibilità, che pure veniva concessa persino alle vittime dell'inquisizione spagnola, di farla cessare confessando qualcosa.

E così, tra un calcio nella schiena e una sigaretta spenta sulle mani, il povero Cucchi ha finito per rimetterci le penne: in modo preterintenzionale, s'intende, ché quelle carogne mica avevano intenzione di ammazzarlo.

Volevano solo fargli più male possibile.

Scarcerazione preventiva

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Per proteggere l'africano che sostiene di aver di assistito al pestaggio di Stefano Cucchi da parte delle guardie carcerarie è stato necessario trasferirlo altrove.

A quanto pare, quindi, persino i giudici (badate, non i radicali, gli anarchici, i no global, i sovversivi, i blogger ciarlatani come me, ma i giudici) ritengono che le prigioni italiane, che dovrebbero garantire il massimo della sicurezza, siano invece posti pericolosissimi.

Voi che ne dite, sarebbe il caso di occuparsene sul serio o vogliamo continuare a far finta di niente?

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