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Roma, 2014

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Funziona così: ti scarichi la app, la installi sullo smartphone e poi, appena ti capita di averne bisogno, la fai partire tutto contento. Minchia che modernità, pensi. Proprio una figata.
Serve, la app, a calcolare il percorso in autobus dal punto A al punto B, e il bello è che ti dice proprio tutto, compreso il percorso e il nome di ogni fermata che ti separa dalla meta.
Senonché, qualche minuto dopo essere salito a bordo ti rendi conto di un particolare: sull'autobus non c'è né un altoparlante che annunci il nome delle fermate di volta in volta raggiunte dal mezzo, né tantomeno un display, un monitor, una spia luminosa che ti dica a quale fermata sei. Niente di niente.
L'unico posto in cui è scritto il nome delle fermate è in cima al cartello che le segnala, in mezzo al marciapiede, e anche sforzandoti succede che da dentro l'autobus non si riesca a distinguerle.
La cosa, si badi, non è secondaria, visto che la zona del punto B non la frequenti mai, e quindi non sapresti assolutamente riconoscere la tua fermata a partire dal nome.
Sicché ti rassegni e fai l'unica cosa che ti resta da fare: inizi a contare. Come quando avevi sette anni e ti mandavano in giro la prima volta e ti dicevano conta, eh, tieni il segno con le dita e non ti sbagliare.
Allora, le fermate in tutto sono sedici, ne abbiamo già fatte due e quindi devo scendere alla quattordicesima.
Una scocciatura, ma insomma, dai, in qualche modo funziona. Anche se 'sti nomi, francamente, che glieli hanno dati a fare? Bah.
Insomma, conti ma ti rilassi. E appena ti rilassi vedi con la coda dell'occhio una fermata che sfila via dal finestrino senza che l'autobus vi abbia sostato. Perché l'autobus le salta, le fermate in cui nessuno deve salire e nessuno deve scendere. E quindi, in buona sostanza, contare non serve a niente.
Cioè, serve, però devi contemporaneamente contare e stare attento alle eventuali fermate saltate. Altrimenti finisce che scendi una o due fermate dopo. Ma devi anche sincerarti che quelle fermate, quelle che sfilano via dal finestrino, siano effettivamente fermate di quella linea, non di un'altra: perché in quel caso non sarebbero fermate saltate. E allora finisce che scendi due o tre fermate prima.
Alla fine deponi le armi, ti rechi in testa alla vettura (se non è strapiena) e fai una cosa che sarebbe vietata, con tanto di cartello: infili la testa nella cabina del conducente e gli chiedi "scusi, quando devo scendere per andare a B?"
Se al conducente non girano i coglioni (legittimamente, visto che il suo compito non è parlare con ogni scemo che gli va a chiedere una cosa) ti fa il favore e te lo dice. In genere lo fa.
Ma nel caso in cui non te lo dica, o se non riesci a raggiungerlo, nisba: devi arrangiarti chiedendo a qualcuno dei passeggeri, generalmente provocando la nascita spontanea di piccoli dibattiti scendi tra du' fermate, no scendi a quella dopo, ma che stai a di', ma come che sto a di' ce abbito, aspetta famme' conta' no la prima, no la seconda, la terza, allora lo vedi che c'avevo raggione io?
Ecco: Roma, 2014.
Così, siamo messi.

Quando i compagni sorridono

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Poi, un giorno, i compagni sorridono.
Ti accorgi, quel giorno, che non sorridono perché sono stati bravi, perché hanno vinto, perché gliel'hanno fatta vedere loro. Quello è già successo, ma quand'è successo i compagni non erano mica così belli.
Sorridono, quel giorno, perché si rendono conto che con le nostre forze, e nient'altro, siamo riusciti a fare una cosa vera. Una di quelle che possono cambiare la vita di tutti. Pure di quelli a cui stiamo antipatici. Perfino di quelli che ci insultano. I quali, presumibilmente, continueranno a farlo.
E' un sorriso che non conoscevi, che nessuno ti aveva insegnato. Che ti prende alle spalle mentre torni a casa in macchina e ti fa venire una cosa nella gola che non va né su né giù.
Che devi accostare, scendere, accenderti una sigaretta. E da solo, in mezzo alla strada, sorridere ancora.
Vale la pena di farsi il culo dieci, vent'anni anni, per capire che significa un sorriso così.

Guarda che sta succedendo

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Perché, solo Beppe Grillo può scrivere su Facebook ogni dieci minuti "guardate che sta succedendo!", o "Incredibile, nessuno lo dice!", o anche "Leggi qua! E' inaudito e loro te lo nascondono!" e tutti ci cliccano perché pensano "madonna, fammi andare a vedere, questa dev'essere proprio grossa" e vanno a leggere e trovano per la centesima volta la stessa cosa? Ecco, adesso lo faccio anch'io: il proibizionismo non funziona, la pillola del giorno dopo è un diritto e le carceri italiane fanno pietà.
Statemi bene.

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