La settimana che (fortunatamente) si è chiusa mi ha permesso di fare qualche riflessione sui trasporti in questo paese e sulla iattura che hanno quelli che devono viaggiare spesso.
Premessa: la partenza è sempre da Roma (quindi super agevolata).
- Lunedì. Devo recarmi a Perugia per un appuntamento alle 18 e non voglio restare a dormire fuori casa. Mi trovo costretta a noleggiare una macchina, perché se volessi andare in treno dovrei cambiare a Foligno, e spingere il regionale per arrivare a Roma in più di tre ore. In macchina ce ne vogliono due, e quindi scelgo l'opzione più inquinante.
- Mercoledì. Devo recarmi a Torino, dove ho un incontro alle 18 e che si protrae fino alle 20. Incredibile, ma non posso scegliere di tornare a casa, perché l'ultimo volo da Torino per Roma è alle 19.30, ed è impensabile raggiungere Malpensa per prendere l'ultimo volo. Quindi devo restare fuori. L'aereo, l'opzione più inquinante che ci sia, non mi dà alcun problema. I problemi, però, li affronto per recarmi all'aeroporto. Roma è un casino totale, stranamente c'è uno sciopero dei mezzi. Mi avventuro lo stesso in autobus, cercando di raggiungere il trenino che dalla stazione porta all'aeroporto (e che da un giorno all'altro è passato dai 5 agli 11 euro, servizio immodificato). A piazza Venezia sono costretta a scendere e a prendere il taxi fino a Fiumicino: la città è nel pieno caos e rischio di perdere l'aereo. La mattina seguente ho il treno che parte da Torino alle 6.40: sperimento il Frecciarossa, non sto nella pelle. Infatti. Da Bologna in giù il viaggio si tramuta in un incubo e il treno in una carriola che si ferma ogni 100 metri. Ovviamente non sono date spiegazioni a riguardo, ma soltanto il nefasto minutaggio: il treno è in ritardo di 100 minuti. Sono quindi fra i papabili che hanno diritto al rimborso, nonostante Ferrovie dello stato abbia concesso il rimborso per i Frecciarossa soltanto a quelli che superino i 60 minuti. Guardo il mio biglietto: è un'offerta, quindi non rimborsabile. Si spegne così l'ultimo lume di voglia di vivere di quella mattina. Mi slittano tutti gli appuntamenti della giornata. Arrivo alla stazione alla ricerca veloce di un taxi. Esco su via Marsala e trovo un po' di persone davanti a una fila di taxi parcheggiati, senza nessuno dentro. Vado allora in piazza dei Cinquecento. Lì trovo invece una fila enorme di persone davanti a una strada, dove ogni tanto si degna di passare un taxi. Bene, la scelta allora è obbligata: faccio prima a raggiungere la meta in autobus. Paradossale.
- Venerdì L'appuntamento a Prato ce l'ho alle 16. Fatta eccezione per l'arrivo in stazione, avvenuto per miracolo considerato che il taxi è arrivato 15 minuti dopo la prenotazione causa blocco totale della Capitale per motivi sconosciuti, all'andata non riscontro nessun problema, anzi, ammiro la comodità del regionale, che a Prato ha addirittura due stazioni, una di queste proprio nel centro storico. Arrivo così alla meta a piedi, in ammirazione della città. Penso: ma questa non è l'Italia cui sono abituata! Il ritorno, invece, mi permette di tornare alle abitudini nostrane. Regionale in ritardo, scendo alla stazione di Firenze per prendere l'eurostar direzione Roma, con la speranza che sia in ritardo anche quello. Arrivo al binario, effettivamente il treno c'è. Assalgo la porta, è chiusa. Batto al finestrino della carrozza dove c'è il controllore: "mi apra!". Il gentilissimo controllore mi fa segno che la porta è chiusa e che posso quindi andare a ... cercarmi un altro treno. Il bello è che il treno rimarrà lì altri 5 minuti buoni. Vabbè. Resto in stazione ad aspettare il treno successivo, in ritardo effettivo di soli 50 minuti (annunciati 30). L'unica mia consolazione è che i treni successivi hanno un ritardo annunciato di 50 (chissà quello effettivo di quant'è). Che tristezza consolarsi per le disgrazie altrui, ma tant'è. Morale della favola, arrivo a Roma alle 22.30, pronta per la cena cui dovevo andare. Forse anche lì c'è stato qualche ritardo, perché al mio arrivo mi sono persa soltanto i fagioli. Fortuna.
La deduzione cui sono giunta dopo essermi imbattuta in questa serie di trasporti? Che viaggiare in Italia è un incubo, cioè, lo è per lo stronzo comune. Perché ho addirittura scoperto che capita che quando sentiamo le sirene e ci facciamo da parte per la strada, spesso dentro quelle macchine non c'è un'emergenza o una situazione di pericolo, ma il direttore stronzo X dell'ente utilissimo Y che si rompe di stare in fila e che quindi decide di superare tutti gli altri.
Finché non saranno gli italiani stronzi comuni a esigere che i loro rappresentati viaggino con loro, che sperimentino su di sé la condizione delle infrastrutture dei trasporti in Italia, ci meriteremo queste pene.
Lo dico davvero.