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Guardi che chiamo i vigili

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di Benedetta Jasmine Guetta
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Il venerdì a Milano, in piazza Quinto Alpini, c'è il mercato: da brava foodblogger, vado sempre lì in bicicletta a rifornirmi di frutta e verdura.
Ogni venerdì mi scandalizzo per la situazione del parcheggio in zona: macchine parcheggiate in doppia/tripla fila, sulla sede stradale, sui passi carrabili, sulla pista ciclabile, sulle discesine per portatori di handicap... non c'è striscia pedonale, gialla o di altro colore che tenga.
Così tutti i venerdì, da cittadina insopportabile quale certamente sono, chiamo i vigili perchè venga fatta giustizia, e una pronta vendetta si abbatta sui suv delle milanesi annoiate che frequentano la zona.
Oggi però ero seriamente in dubbio: che fare in una situazione come quella che vedete nella foto qua sopra?
E' tutto così meta-reale (mi si passi il neologismo)! Insomma, dovevo chiamare i vigili per dire che un'automobile della... polizia(!) parcheggiata contromano mi impediva il passaggio sulla pista ciclabile?
Alla fine, ho risolto di non telefonare, e proseguire sul mio insidioso percorso tra automobili, pavè e rotaie del tram. Tuttavia, a voi dovevo proprio raccontarla, questa storia!

P.S. se avete simili avventure da raccontare sarei felice di leggerle nei commenti: si sa che "mal comune mezzo gaudio"...

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Chi legge questo blog con assiduità è già a conoscenza del fatto che -tra gli altri- ho il grave difetto di essere un acceso tifoso della Lazio: quest'anno, complici le richieste dei miei figli e la favorevolissima offerta che il buon Lotito ha messo a punto per i bambini (un euro ciascuno per tutto l'anno), sono perfino tornato a fare l'abbonamento allo stadio. Insomma, per dirla in estrema sintesi guardarmi le partite della Lazio, quando posso, non mi dispiace affatto. La storia che sto per raccontarvi quest'oggi, amici, inizia da qua. Sabato 23 agosto 2009 Oggi inizia il campionato di calcio: io e i bambini, tuttavia, siamo ancora in vacanza, e non avendo voglia di andare a Roma e tornare al Circeo nel giro di poche ore -per giunta di notte-, ci siamo già rassegnati di buon grado a perderci la prima partita in casa. Poi, verso le otto e mezza, mi ricordo che i miei si sono portati qua al mare il decoder del digitale terrestre che usano a Roma, con tanto di tesserina Mediaset ancora inserita, e propongo ai miei figli di guardarci insieme la partita, magari mangiandoci un pezzo di pizza. Ricevuta un'entusiastica adesione al programma, accendo il decoder, verificando che nella tessera ci sono ancora 21 euro di credito residuo, mi posiziono sul canale che tra pochi minuti trasmetterà Lazio-Atalanta e, come da istruzioni lampeggianti sulla parte bassa dello schermo, acquisto la partita schiacciando il tasto OK: il sistema conferma immediatamente che la transazione è andata a buon fine, provvedento contestualmente a scalare dal credito 8 euro e segnalandomi che dopo l'acquisto me ne restano 13. Della partita, però, nessuna traccia: lo schermo resta nero come il carbone e dalla televisione non esce alcun suono; dopo i consueti tentativi del caso (spegni e riaccendi il decoder, togli e rimetti dentro la scheda, stacca e riattacca la spina, reinstalla da capo la lista dei canali) mi decido ad accendere il computer, vado sul sito di Mediaset e annoto il numero del call center da chiamare in caso di problemi. La partita, a questo punto, è già iniziata da una decina di minuti: poco male, dico ai bambini che si lamentano, adesso telefono, in quattro e quattr'otto mi diranno come risolvere il problema e riusciremo a vedercela quasi tutta. Dopo qualche minuto inizio a ricredermi: ogni tentativo di chiamata dà come risultato il segnale di occupato, o alternativamente una soave voce femminile registrata che mi invita a riprovare più tardi, giacché le linee sono tutte impegnate; finalmente, dopo un quarto d'ora buono, riesco a prendere la linea, e dopo essere stato reso edotto del costo della chiamata (6 centesimi di scatto alla risposta, oltre a 3 centesimi al minuto) riesco a divincolarmi tra le opzioni del risponditore automatico e ad arrivare al punto in cui la voce registrata mi chiede di inserire il numero della mia tessera per essere messo in contatto con un operatore. Provvedo a digitare il numero, ma a quel punto cade la linea: la partita è iniziata da venticinque minuti, i bambini mi chiedono se possono andare a giocare con il loro amico del villino accanto e a me la voglia di vedere la partita è passata quasi del tutto. Però, come spesso accade, ormai è diventata una questione di principio. Telefono ed è occupato, telefono ancora e la linea cade dopo aver inserito il numero di tessera, telefono di nuovo e c'è il disco che mi parla delle linee congestionate. Sempre più inviperito, insisto: occupato, occupato, linea che cade, occupato, disco, disco, occupato, linea che cade, disco, occupato... Dopo una ventina di minuti di questo andazzo, sento dall'altra parte del filo una voce femminile: niente disco, questa è una in carne ed ossa. Dopo aver vinto l'emozione (a questo punto un'apparizione della madonna sotto la tenda del patio mi sorprenderebbe sicuramente molto meno) spiego alla signora quale sia il problema, anticipandole che ho già provveduto da me a fare tutte le cose che sta per suggerirmi (stacca, riattacca, resetta, fai una piroetta e via discorrendo): la mia interlocutrice emette un mormorio di perplessità e mi prega di restare in linea qualche secondo. Aspetto, già pronto all'evenienza che la linea cada da un momento all'altro e rassegnato all'idea di lasciar perdere, e invece dopo un minuto la signora torna all'apparecchio, si scusa per l'attesa e mi avverte che nella mia tessera c'è "qualcosa di strano", che il segnale nella località dove mi trovo è debole e che comunque il sistema non le funziona, ragion per cui dovrò richiamare domani. Cerco di ribattere che la nozione di "qualcosa di strano" è assai vaga e difficilmente comprensibile (cos'è, la mia tessera è falsa? danneggiata? smagnetizzata? annullata? pregiudicata? posseduta?), che il segnale sarà pure debole ma intanto gli 8 euro se li è presi con tutta l'energia necessaria, e che pur essendo solidale con lei per il mancato funzionamento del sistema (tra parentesi, se il sistema non funziona, come ti sei accorta che la tessera è "strana"? mah...) gradirei la restituzione degli 8 euro pagati, giacché la partita si sta per concludere e io non ho potuto assistervi neanche per 5 minuti. La signora, dopo aver evitato accuratamente di rispondere a tutte le mie domande, mi fa presente che "se sarà il caso" la cifra mi verrà certamente rimborsata (se sarà il caso? è il caso, cazzo, da qua la partita non si vede, cosa serve per restituirmi otto euro, che si riunisca una commissione di magistrati?), e che comunque dovrò chiamare domani, perché -ripete- la tessera "è strana" e il sistema non va. Domenica 24 agosto 2009 Mentre scrivo questo post è l'ora di pranzo di quel domani a cui l'addetta di Mediaset Premium si riferiva: ho passato un'oretta buona a chiamare il call center, spendendo un altro paio di euro oltre a quelli che già mi sono stati mangiati dalla tessera, ma non ho avuto il piacere di riuscire a parlare con anima viva. Chi mi conosce sa che per me le questioni di principio sono importanti: ma la pazienza, come ogni cosa di questo mondo, ha un proprio limite, valicato il quale -per fortuna- l'ostinazione viene meno, la determinazione si smorza e la mente si rivolge ad altro. So già che non chiamerò più: del resto ci ho provato, tra ieri e oggi, per tre ore buone, e non ho la minima intenzione di trascorrere il resto delle mie vacanze a parlare al telefono con un disco; anche qualora qualcuno mi rispondesse e risolvesse il problema, peraltro, l'esperimento sarebbe già catalogabile come fallimentare, giacché a mio modo di vedere uno che paga (e paga in anticipo) dovrebbe essere assistito tempestivamente nel momento esatto in cui chiede aiuto, e non il giorno successivo, quando di quell'aiuto non sa più che farsene, dopo un calvario di telefonate inutili. Quelli di Mediaset Premium, insomma, si sono presi senza darmi alcuna contropartita 8 euro che erano miei (impossessandosene definitivamente, tra l'altro, dopo che io gliene avevo fornito la disponibilità prepagandoli quasi un annetto fa) e non mi hanno messo nella condizione di riaverli impiegando uno sforzo proporzionato all'entità del danno subito: se mi incaponissi e decidessi di riprendermi quei soldi ad ogni costo, insomma, il tempo e il denaro necessari per farlo finirebbero per configurare una spesa più ingente della somma che chiedo indietro. Se io trattassi in questo modo i miei clienti finirei ben presto sul lastrico: invece loro, che di clienti ne hanno a bizzeffe, possono permettersi di strafottersene; uno di meno, nell'economia generale, cosa volete che conti? Io, da parte mia, sopravviverò ugualmente senza gli otto euro che nessuno mi restituirà, e quindi la vertenza può dirsi chiusa senza che alcuna delle parti in causa abbia subito un danno irreparabile. Tuttavia, amici di Mediaset, mi corre l'obbligo di comunicarvi che i miei soldi non li vedrete mai più, e che racconterò con piacere ad ogni persona con la quale avrò modo di parlarne la supponenza e la tracotanza con la quale siete soliti trattare i vostri clienti. Sapete com'è, si chiama reputazione: e qualche scemo come me si ostina ancora a sostenere che sia meglio averla buona non solo per trovar moglie, ma pure per fare i quattrini.

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